
Non mi ricordo l’ultima volta che ho preso il treno per scendere in Salento.
O forse me lo ricordo e voglio far finta che non sia così.
Però la sensazione di leggerezza ce mi mette addosso anche solo il viaggio è qualcosa a cui non rinuncerei mai, per nulla al mondo.
Eccoli, gli ulivi. Infiniti. Eterni. Stanno sempre lì, e questa è già una certezza che di questi tempi è qualcosa.
Il sole, questo sole che si è sempre lui, ma qui è diverso. Qui ti batte addosso come onde continue sugli scogli, quasi ti modella a sua immagine e somiglianza, come un dio pagano che ti regala il dono dello splendere.
E adesso un incendio controllato, qui a bordo binari. L’odore di bruciato (quanto mi piace l’odore del bruciato), ecco l’odore entra dentro i condotti dell’aria condizionata e mi apre le narici.
Non m’interessa nemmeno di questo gruppo di vecchi e meno vecchi che da quando siamo partiti non ha fatto altro che ridere in modo fastidioso, parlando ad alta voce di “quei poverini del terremoto e compriamo il parmigiano di Modena e poverini quelli del terremoto”.
Mi ci voglio perdere questi mesi, in Salento. Voglio dimenticarmi chi sono stato in questo periodo e cercare di scoprire chi potrei essere. Magari lo sono già stato, ma proprio non mi ricordo quando.
O forse lo so, ma pensarci fa troppo male, e allora penso che non sia mai stato così.
Perché sto già una bomba.