Abbracci

Miele ovunque.
Miele ovunque.

Stazione Tiburtina.
Manca poco alle quattro di pomeriggio.
Cammino sotto un cielo grigio che finalmente non rispecchia quello che ho dentro.
Dentro mi splende il sole, ho il cuore pieno e la testa leggera, nonostante i pensieri che si accalcano e spingono e fanno a gara a chi ce l’ha più grosso.

Nelle cuffie parte “Tree Hugger”, una della tante tracce piene di miele ed amore della colonna sonora di Juno. Cammino a passi svelti che non voglio far tardi, ho cose da fare gente da vedere, stasera c’è la festa di Le Cool a cui tengo troppo per poter perdere tempo, il treno passa a momenti e faccio per imboccare il portico appena sceso dalle scale mobili. La schiena ancora mi fa male ma il cuore pompa zucchero e scioglie il dolore. Mentre la tartaruga vorrebbe volare ed il cactus avere un fiore rosa in testa, sento la voce di un uomo con la classica intonazione di chi parla con un bambino.

Alzo gli occhi dalla punta delle scarpe e vedo la copia senza soldi di Nanni Moretti piegato sulle gambe, che parla ad una bambina che avrà al massimo cinque anni, bionda da far spavento e col visetto di chi ancora non ha capito come funziona qui intorno.

L’uomo continua ad indicare, e sempre con il tono da tonti che abbiamo quando parliamo ai bambini le dice “guarda chi c’è! Lo vedi? Eccolo lì, eccolo che arriva!!”.

Mi giro aspettandomi un fratello più grande, uno zio, comunque un adulto.

E invece ecco un suo piccolo, dolce coetaneo. Un nanetto di un metro che inizia a correre.

Lei sorride, di quei sorrisi che i bambini hanno quando vedono una cosa bella e dimenticano tutto il resto: i giochi, il gelato, i colori, gli uccelli.

Ride di un sorriso pieno. Fa due tre passetti sul posto, come per caricarsi. Allarga le braccia come se dovesse spiccare il volo, il sorriso ormai così largo da sembrare finto. Gli occhi le brillano di luce propria. Altri due passetti..

.. e parte.

Scatta come una molla, le braccia ed il sorriso larghi che di più si sbezzerebbero. Corre dritta e veloce, l’altro bambino che allarga le braccia e noto solo ora che ha un fiore in mano, una di quelle margherite enormi che paragonata a lui sembra un albero.

Quando finalmente, dopo una corsa che sarà sembrata ad entrambi una maratona, entrano in contatto, è come veder nascere una stella.
Quasi cadono all’indietro, ma le braccia dell’una stringono l’altro e rimangono aggrappati, come sospesi su quelle piastrelle, tra la gente, tra i grandi che ‘ste cose non le fanno più.

Mi accorgo dopo qualche secondo che sono rimasto fermo a guardarli, con un sorriso così ebete da sembrare un cinquenne anche io. Una scena che fermami il cuore, che più pieno di così non ce la fa.

E capisco che cose del genere succedono di rado, e le noti ancor meno quando stai incazzato col mondo.

Ma oggi no. Dentro mi splende il sole, ho il cuore pieno e la testa leggera, nonostante i pensieri che si accalcano e spingono e fanno a gara a chi ce l’ha più grosso.

E scene del genere dovrebbero essere all’ordine del giorno e della notte, tra bambini, grandi e vecchi.

Anche dopotutto.

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