
Mi fissa inespressiva per un secondo, prima di cominciare a cadere all’indietro.
Un tonfo sordo, il rumore del bossolo che tintinna in terra va in sincrono con la testa che sbatte sul cemento nudo del capannone prima di fermarsi.
Il calore del proiettile brucia il foro di entrata nel petto, lasciando nell’aria una piccola nuvola di fumo ed un odore di pollo bruciato.
Nella mano stringe ancora la pistola, l’indice fermo sul grilletto.
Non doveva finire così.
“Siete così carini insieme”, ci dicevano i nostri rispettivi amici.
E lo eravamo, davvero.
Non abbiamo mai ostentato il nostro amore, ma lo abbiamo coltivato con cura e discrezione. Ci siamo presi le misure ed i tempi, andando in sincrono senza mai studiare davvero le mosse dell’altro.
Poi è iniziata la sua gelosia, il mio essere scostante, cose di cui si è discusso tante volte ma senza mai arrivare ad una vera soluzione.
Ho provato a lasciarla più di una volta, ma i suoi occhi pieni di lacrime e le sue scuse erano più forti di ogni resistenza.
“Cambierò”.
E si tornava a far l’amore, finendo con la mia testa sul suo petto dentro il quale non sembrava mai battere nulla. Era una cosa che le chiedevo da sempre.
“Se mi ami davvero, come mai non sento nulla lì dentro?”
“Sei strano”, mi diceva, “come puoi pensare che il mio cuore non batta?”.
Mentre ripenso a tutto questo lei si mette a sedere.
Sono pietrificato.
Infila la mano in tasca ed estrae il cellulare, sul quale digita poche parole. Poi lo fa scivolare sul pavimento, fino ai miei piedi. Lo fisso qualche secondo prima di raccoglierlo. Sul display, una pagina ferma ad una voce di Wikipedia: “Situs Inversus – Il situs inversus è una condizione congenita dove gli organi sono invertiti in modo speculare rispetto alla loro usuale posizione, che è detta invece..”.
Faccio giusto in tempo ad alzare lo sguardo, che si fissa sulla bocca della sua pistola davanti a me.
“Peccato. Ti amavo molto”.
abbravo
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Aggrazie.
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