Grazia come ogni mattina si sveglia con la suoneria del telefono.
L’ha impostata perché sa che dopo un po’ la odierà.
È la “loro” canzone.
Era.
Si trascina in bagno per togliersi i segni di un aperitivo a San Lorenzo della sera prima. Si passa l’ovatta sul viso come volesse scavarselo, come se invece di toglierlo volesse farsi simboli di un guerriero tribale.
E infatti nella giungla, a combattete, sta andando.
Come tutti i giorni.
Grazia lavora in un call center, in questi anni in cui non se ne parla più come quando sembravano la sala d’attesa per l’inferno.
I sindacati sono spariti e i diritti rimasti quelli, pochi e deboli.
La paga in una città come Roma le basta per qualche aperitivo di cui sopra, la vacanza in estate e un vestitino a fiori al mercato. Una volta al mese, se è andato bene.
Grazia entra in ufficio passando il badge rovinato da anni di zaino e botte contro la scrivania. Saluta i pochi colleghi a cui tiene, e che sono con lei da un po’, e come ogni volta si chiede i nomi dei nuovi, sempre di più, sempre più a tempo, bombe di precariato pronte ad esplodere.
Grazia accende il computer e inserisce le troppe password che il sistema le richiede, a lei che non ha mai chiesto nulla a nessuno.
Tira fuori le cuffie con le spugnette smangiucchiate dalle urla di clienti frustrati e dal sudore delle estati passate lì dentro con l’aria condizionata rotta.
Guarda l’orologio in basso a destra sullo schermo mentre posizione il mouse su Disponibile.
Alle 8:00 clicca, e ricomincia.
Grazia risponde a utenti che dicono che gli è stato addebitato troppo ma non sanno perché. Sorride triste mentre gli cancella gli abbonamenti ai video porno o al calcio scommesse, pensando a compagne e mogli che piangerebbero isteriche.
C’è il business man che fattura 100 euro al mese e pretende tariffe alla Montezemolo.
C’è la signora anziana a cui hanno allacciato la fibra ottica e non sa nemmeno come è fatto il modem.
Grazia risponde, piena dei cosiddetti “sorrisi telefonici”, sopporta molta ignoranza e qualche insulto.
Pochi istanti prima di ogni pausa comandata (quindici minuti ogni due ore) si prepara una sigaretta, raccoglie il tabacco che le cade sulla scrivania e mentre esce lo butta con cura in un cestino.
Grazia aspira dalla sigaretta e sbuffa via il fumo annoiata. Poggiata di schiena all’entrata dell’ufficio guarda la gente che si trascina fuori dalla palestra proprio lì davanti. Li vede stanchi, sudati e certa che su quei tapis roulant ci vanno non per correre, ma per avere la sensazione di scappare da qualcosa.
Grazia rientra e controlla il tempo di pausa che le rimane. Ha ancora 4 minuti, e decide di controllare la chat. Perché oltre al telefono, deve anche rispondere a chi attraverso il sito richiede assistenza.
Proprio in quel momento compare la scritta
“L’Utente FP80QH ha richiesto supporto”
Grazia clicca Accetta.
L’Utente FP80QH in realtà si chiama Jacopo, e un po’ bruscamente riporta che da più di 20 giorni la rete non va. Dice che ha provato di tutto, che ha spento/riacceso/resettato/toltoSIM/cercato antenne manualmente ma nulla, non ha modo di chiamare ed essere chiamato, e non può avere contatti col mondo esterno nemmeno attraverso Internet.
Jacopo riesce oggi per la prima volta in ventiquattro giorni a interagire davvero con qualcuno che lo stia a sentire.
Grazia gira gli occhi al cielo quando capisce che il suo essere brusco non è nemmeno più dovuto al guasto, ma al fatto che nessuno è riuscito ad aiutarlo. Sa bene come lavora lei, e cerca di pensare solo a quello, ma troppo spesso si è ritrovata a dover sturare cessi intasati da colleghi annoiati e incompetenti. Da settimane nella chat su Facebook gli dicono solo che stanno gestendo una pratica di cui ancora non si sa nemmeno il numero. Jacopo è all’estero per lavorare, scrive, per fare un lavoro come quello di lei, dice.
Grazia decide di prenderla come una sfida. L’ennesima.
Vuole aiutarlo ma trova difficile farsi rispondere senza una punta di sarcasmo classica di chi è frustrato e allo stesso tempo è protetto da un monitor e chissà quanti, e quali, chilometri di distanza.
Lei deve fare le domande che la procedura richiede, sapendo già come può rispondere dopo un mese senza rete un utente alla domanda “Sei mai riuscito a chiamare prima del guasto?”. Lo chiede mentre vede che Jacopo è cliente dal 2010.
Come non aspettarsi una risposta piccata?
Grazia però non cede, avanza a colpi di domande che le sa benissimo essere banali, ma il Grande Fratello che tutto vede e tutte le chat legge pare sia un parente sensibile e scrupoloso, e lei esegue, banalità dopo banalità, frase fatta dopo frase fatta. Lo fa scrivendo la domanda successiva mentre aspetta la risposta alla precedente.
Vuole arrivare al succo, sa che Jacopo ha sete e il bicchiere di arance spremute è proprio lì, a portata.
Grazia però a un certo punto si ferma. Jacopo è sempre più piccato e le sue rispose sono sempre più condite da rabbia e rancore. Ed è in quel momento che Grazia pensa di cedere, di premere quella X bianca su sfondo arancione, il colore della compagnia che è ovunque in ufficio: sugli sfondi dei PC, sui portachiavi regalati dopo un anno di lavoro, i bicchieri per l’acqua nei barili a testa in giù sono arancioni, come a una festa delle medie a cui nessuno voleva andare ma il festeggiato è ricco, quindi perché no.
E mentre pensa di cliccare su quella bianca ics, capisce che in realtà la vorrebbe dipingere su ogni cosa arancione che si trova intorno, una X per ogni giorno passato lì dentro, una per ogni insulto ricevuto, una per ogni lacrima scesa sul suo volto da quando lui se ne è andato perché non è più come prima.
“Si è connessa!”
Grazia è ancora con il dito a mezz’aria, pronto a scendere violento su una ics che è come fossero mille.
“Grazia, non se che hai fatto, ma la rete si è connessa!”
Grazia sembra sentire la gioia di Jacopo attraverso quell’infinità di pixel, la gioia di chi si è tolto un peso, di chi ha risolto qualcosa.
E la cosa bella è che lei, qualcosa, non lo ha fatto.
Semplicemente è stata lì quasi un’ora, a fare domande stupide con risposte scontate, a far scrivere un ragazzo a cui piace scrivere e che forse proprio per la fretta di farlo, smanettando tra PC e telefono con cui fare screenshot da inviarsi al computer da inviare a lei, ha premuto qualcosa. Ed eccoli lì, con Jacopo che gli scrive
“Mi viene da piangere!”
e Grazia che risponde
“Devi ridere invece!”
e lui che
“Ma che ci stai a fare lì sorella, scappatene via, ci metti troppo cuore e so bene che lì non se lo meritano. O sbaglio?”
Grazia non risponde subito, aspetta, ci pensa, e mentre le dita stanno per partire sui tasti Jacopo la saluta, e la chat si chiude.
Ma lei, pur rimanendo con quella risposta ferma sui polpastrelli, finalmente sorride.
La prima volta nella giornata.
Forse la prima volta da un sacco di tempo.
Grazia spegne tutto, arrotola il filo delle cuffie intorno al microfono e le infila nello zaino. Lo fa automaticamente, guardandosi intanto in giro, le facce stanche di colleghi anonimi illuminate da schermi tutti uguali. I suoi occhi si fermano sui bicchieri arancioni, proprio mentre sistemando le cuffie sente la sua penna preferita, quella a pennarello ma con la punta fine, nero che si asciuga subito. Lo impugna mentre si avvicina alle cisterne d’acqua, prende un bicchiere e scrive il suo nome su un bicchiere. Lo riempie e lo lascia lì, pieno, sulla cisterna che borbotta bolle d’aria.
La sua festa delle medie è appena finita.
Grazia esce dall’ufficio per l’ultima volta, anche se ancora non lo sa davvero.
Nella palestra la gente continua a far finta di scappare dai suoi fantasmi, chiusa dentro un acquario senz’acqua, e senz’aria.
Rientrata a casa a malapena si spoglia: si siede di fronte al PC, digita qualcosa velocemente e dieci minuti dopo ha pronto un biglietto di sola andata.
Grazia come ogni mattina si sveglia con la suoneria del telefono.
L’ha impostata perché sa che dopo un po’ la odierà.
È la “loro” canzone.
E oggi la odia un po’ meno.
Mi piace un sacco come scrivi, sto leggendo un articolo dopo l’altro e mi sento un po’ incantata…
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Ciao!
Grazie, mi fa davvero molto piacere!
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Ciao e grazie!
(con imbarazzante ritardo)
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