Paolo cammina furtivo su Via dei Perroni, a Lecce.
Correndo attraverso Porta San Biagio è quasi rimasto incastrato con la felpa larga nelle colonnine anti macchine. Si è liberato veloce, approfittando per guardarsi in giro alla ricerca di eventuali passanti. La sua parte cosciente sa che alle 3 di notte è difficile che passi qualcuno, ma le scuole sono finite ed i liceali non impegnati con la maturità cominciano a far tardi già molto presto.
Il tintinnio della pallina lo accompagna ad ogni suo passo, scandendo i momenti in cui corre a quelli in cui si ferma dietro agli angoli. Arriva in prossimità della chiesa di San Matteo, illuminata per metà dai faretti e per metà da una luna piena che così piena non si vedeva dai tempi dei lupi mannari. Si appoggia con le spalle al muro all’inizio di Piazzetta Regina Maria, accovacciato per non sbattere la testa al balconcino sporgente del piano terra. Ha il fiatone, ma più che per la corsa per il momento che lo aspetta ora: dovrà essere veloce e pulito, e soprattutto silenzioso.
Ma ha calcolato tutto.
Il lampeggiante arancione comincia a lanciare i suoi lampi dalla fine della strada. Arriva il camioncino dei rifiuti. E questo vuol dire che può agire.
Parte verso il muro di fronte a lui. Mentre avanza a passi veloci, toglie la bretella sinistra dello zaino che scorrere davanti a lui. Apre la zip e tira fuori la bomboletta. Si ferma per un secondo solamente all’angolo, controlla che i flash arancioni siano ancora a debita distanza. Aspetta che il rumore di vetri che si frantumano cominci a riempire l’aria, ed inizia a premere la valvola.
Con movimenti dritti e precisi imprime la vernice blu sul muro. Sono pochi secondi, agita la bomboletta solo una volta, fa due passi veloci all’indietro per controllare il risultato.
Sorride.
È soddisfatto.
In quel preciso momento il rumore di vetri finisce, i lampeggianti si avvicinano.
Paolo rimette tutto nello zaino e così com’è venuto, sparisce nella notte.
Ilaria si sveglia che il sole fa capolino dietro le antenne sui tetti. Ed è comunque in ritardo.
Il bar apre tra dieci minuti, deve arrivare fino a Piazza Sant’Oronzo ma come al solito non vuole correre.
Ma dovrà.
Prende i vestiti del giorno prima, lasciati sulla sedia dopo l’aperitivo con le amiche passato principalmente a parlare male di lui, delle sue assenze e della sua gelosia.
Mentre infila la gonna sorride per un attimo, ricordando di quando la comprarono insieme al mercato di Natale. Erano solo pochi mesi fa, ma il tempo si è dilatato al punto che le sembrano passati secoli.
Dopo un brevissima sosta al bagno, camminando in corridoio afferra cellulare, chiavi e rossetto, tutti strategicamente lasciati in sequenza come le briciole di Pollicino. Infila tutto in borsa, tranne il rossetto. Scende veloce le scale per fermarsi davanti al portone, dove grazie al riflesso comincia a dipingersi le labbra. Ed in un momento in cui mette a fuoco l’esterno e non il suo viso, la vede.
Riconosce subito la sua calligrafia, anche se la scritta è grande, su un muro, e non piccola sui post-it che le lasciava sulla scrivania dopo una notte passata insieme.
Rimane così, con le labbra schiuse e gli occhi grandi che scorrono sulle quattro grandi parole blu.
Apre il portone e, con il rossetto ancora stretto in mano, si avvicina al muro.
Paolo infila il cellulare in tasca velocissimo.
Ha appena letto il suo messaggio, e non gli sembra vero.
“Ti ho risposto”, ha scritto Ilaria.
Esce dalla porta del negozio come un fulmine, il capo che gli grida dietro ma lui è già lontano, già perso nei pensieri e nelle speranze di quella risposta.
Passa di nuovo per San Biagio, a quest’ora affollata di turisti e liceali che sanno di sale.
Corre, corre veloce.
Vede la sua scritta in lontananza e due parole scritte in rosso subito sotto.
Tra la corsa ed il sudore non le distingue e allora corre ancora più veloce.
Quasi sbatte contro il muro, fermandosi allungando le mani per attutire il colpo. Si trova con il viso di fronte alla sua scritta blu
“Ilaria io ti amo”
e spingendosi con le braccia all’indietro amplia la visuale e riesce a leggere le due parole sotto, rosse come le sue labbra, dense di rossetto con alcuni grumi ancora attaccati.
Legge, e si mette a piangere, di un pianto disperato.
“IO NO”.