“Svegliarsi così non è proprio il massimo.
Ricordi che ti avevo detto che ho ripreso a sognare?
Ecco, stanotte, dopo essere tornato martoriato da una giornata di lavoro, sono crollato e ho fatto un sogno di merda.
Ero in un locale, l’unico seduto in mezzo a tutta gente in piedi. Musica alta, luci sul giallo, spalle di tutti addosso. Il tipo mi si avvicina e comincia a dire cose tipo
– Ah ma sei tu? Sei tu, giusto? Ehi tesoro, ehi! Vieni qui, guarda chi c’è!
E lo dice quasi ridendo, a prendermi per il culo.
Lei appare da dietro le mi spalle, i capelli le coprono il volto tipo Cugino Itt della Famiglia Adams. Forse aveva anche degli occhiali, proprio come lui. Insomma lei arriva e mi passa davanti defilata, senza girarsi a guardarmi, con lui che guardandomi e ridendo le mette una mano sulla spalla per accompagnarla via da me.
Ora, se vado da uno bravo, che potrebbe dirimi di ‘sto sogno?
Bah, non voglio manco pensarci.
Mi son svegliato allo stesso modo di come mi sono addormentato: stanco, col bruciore di stomaco e la voglia di essere ovunque tranne che qui. A casa eh, e non per la casa in sé, ma per essere oltre delle mura, con un po’ di spazio intorno, a lasciar liberi i pensieri.
Comunque, avevo bisogno di parlare oggi.
Il cielo fuori non si fa capire, fa correre nuvole grosse come pensieri brutti ma poi ogni tanto apre, poi sputa un po’ di vento freddo che paradossalmente mi scalda il cuore.
Una ragazza carinissima si è appena affacciata alla finestra qui davanti, al piano sopra alla signora che tiene i pappagalli in una stanza. Non te l’avevo detta questa?
In pratica c’è questa signorona che ha tutto un piano di casa, e in una stanza, proprio sotto alla ragazza carinissima, ha enormi gabbie di pappagalli che però son liberi di volare in giro. Son pure grossi tra l’altro, belle bestione che girano di continuo. La signora ha anche un gatto rosso gigantesco che non credo sia ammesso nella stanza dei pappagalli, e che infatti se ne sta tutto il tempo sul tavolo a farsi il bidet.
Insomma la ragazza carina è davvero carina: mi son girato mentre era affacciata al balcone, vesita di salopette e maglietta bianca, coi capelli corti e gli occhi grandi. Abbiamo incrociato lo sguardo, che ovviamente io ho distolto subito, mai sia.
La stanza è un casino ma è uno di quei casini in cui ti trovi a tuo agio, tra calzini depressi e scarpe spaiate. Sto seduto sul ciglio del letto, le bootarelle d’ansia mi fanno avere l’impressione di stare in macchina quando prendi quei saliscendi velocissimi, e lo stomaco rimane senza gravità per quel secondo di ansia mista a paura. È strano eh, ma accettabile. Almeno è qualcosa.
Qualcosa nel senso di fisico, di provare qualcosa, che è quello che poi spinge gli altri ad allontanarsi no? La voglia di provare qualcosa di diverso, quando eri troppo spaventato da te stesso e del tuo rimanere uguale. Son percorsi che uno fa da solo, ed è giusto, ma incolpando l’altro ci si pulisce la coscienza troppo facilmente. Si dorme bene, si esce con nuovi amici, si pensa alle mille cose da fare che prima sembravano impossibili. Ma invece di guardarsi dentro e ammettere che era una cosa che si sarebbe potuta fare anche prima, si scarica sull’altro per sentirsi meglio con sé stessi, per non farsi domande, per avere solo risposte che ci piacciono. Scavarsi dentro è una cosa difficile, sopratutto quando scavando con la pala senti il rumore di qualcosa e scopri che è la tua inadeguatezza, il tuo non saper stare al mondo che ti porta a fare cose giuste per te.
Ma va bene così: ogni uomo (donna, bambino) è un’isola e decide chi e chi non farci sbarcare sopra. Si decide autonomamente se si vuole stare disabitati, o se si vuole qualcuno a coltivarne le risorse.
Oppure, come in questo caso, per diventare un porto di mare senza soluzione di continuità, in cui basta che qualcuno sbarchi, lasci qualcosa e se ne vada di nuovo. Perché poi soli, come si dovrebbe stare, non si vuol stare mai, soprattutto se sei l’isola di Lost dove non ci si capisce un cazzo, e chi arriva se ne vuole scappare dopo due giorni.”