Niente protagonismi.
Leggerete nemmeno troppo tra le righe che non sono certo un critico musicale.
Sono solo un criticone, di solito.
Però la Musica è un bel pezzo di vita mia, le liste mi fanno impazzire e l’Alzheimer è alle porte, quindi lascio qui questa traccia sulle tracce principalmente per me.
E magari per dare qualche chicca a voi.
Bonus: cliccando sul titolo del disco di ogni artista, verrete portati sul tubo e più nello specifico alla mia traccia preferita di quell’album.
Arctic Monkeys – AM (2013)

Il disco in cui lasciano le cantine e si prendono i palchi.
Si pettinano, si mettono le giacche di pelle e tirano fuori uno dei dischi più importanti dell’anno 2013, della decade che si chiude e più in generale della storia della musica. Un passaggio di consegne tra loro e loro stessi, con l’eco di quattro album alle spalle che si aggira per le tracce di AM e le prima sonorità che avrebbero invece riempito quel gioiello che è Tranquility Base Hotel & Casino. Un colpo di coda pieno di rock, ballate e testi fuori dal comune, pieno di quell’acido da gastrite che senti quando capisci che stai crescendo, e devi farci per forza i conti.
Willie Peyote – Educazione Sabauda (2015)

Anche questo un disco di transizione. Guglielmo era partito l’anno prima con Non è il mio genere, il genere umano, e prima ancora con un gruppo punk. In mezzo, un gioiello raro che è la sua partecipazione come cantante nel progetto Funk Shui Project.
Qui arriva prendendo tutto quello che ha imparato e lo mette in rima, e in riga. Una tracklist piena di rap, cantautorato, ironia, ma soprattutto intelligenza: nel mettere insieme concetti profondi e ritornelli leggeri, citazioni di Guccini e audio dal film Santa Maradona, nel cucire insieme la scena indie / rap italiana, la politica, i vizi di un popolo poco educato.
Kendrick Lamar – DAMN. (2017)

Io sono ignorante come la merda. Faccio le classifiche delle cose e realizzo che Kendrick prima di due anni fa mi era praticamente sconosciuto. Ormai ascolto sempre la stessa roba, e graziaddio ho un amico così in fissa con l’hip hop ben fatto che alla fine qualcosa di nuovo, in questo capoccione, ci entra.
Ed ecco infatti che Kendrick mi ha fatto prendere un aereo in più oltre a quello che avevo per Lisbona: un Roma – Londra – Roma – Lisbona che difficilmente dimenticherò, così come il concerto all’O2 Arena, uno dei più belli della mia vita.
DAMN. è un disco così importante per la storia della musica, che mi sento uno stronzo anche solo a parlarne. Per me è stato scoperta, emozione, rabbia e tante belle cose che mi son rimaste appiccicate addosso. È stato enorme, gigantesco e allo stesso tempo così piccolo da insinuarsi in tantissimi momenti dei miei ultimi due anni su ‘sta terra dove tutto quello che succede, qui rimane.
Bud Spencer Blues Explosion – Fuoco Lento (2011)

Due anni prima Adriano e Cesare avevano tirato fuori un gran bel disco che li aveva portati direttamente sul palco del Primo Maggio nel 2010, e dove per la prima volta dimostrano a tantissima gente quanto potente può essere un duo. Quel duo, dal vivo.
Per questo, pochi mesi prima di pubblicare il loro secondo, per me miglior disco (Do It – Dio Odia I Tristi), pubblicano la registrazione di un live elettrico, caldo e potente come un fulmine. Una tracklist breve ma intensa, fatta quasi tutta di cover, un pubblico infoiato che fa casino almeno quanto quei due sul palco. Di quelli a cui avrei potuto assistere, questo live al Circolo degli Artisti è uno dei miei più grandi rimpianti. Ma poi mi son rifatto per bene intervistandoli l’anno dopo.
Mac Miller – Swimming (2018)

Ok, lo ammetto. Mac Miller l’ho scoperto due mesi fa grazie ai Tiny Concert di NPR Music. E sono rimasto folgorato. Non avevo idea di chi fosse, di che musica facesse, ma quei diciassette minuti mi hanno impressionato, emozionato, allibito. Una potenza di liriche impressionante, una facilità di composizione e realizzazione rari, per un ragazzo di 26. Non avevo idea di chi fosse, e scoprire che pochi mesi dopo quel live è stato trovato senza vita per un overdose di droghe e alcool, mi ha distrutto come se se ne fosse andato un carissimo amico che non sentivi da anni, ma che sapevi avrebbe fatto grandi cose, prima o poi.
Jovanotti – Ora (2011)

Va beh, Lorenzo.
Vi vedo storcere il naso fin da qui.
Il fatto è che ok, Lorenzo Cherubini è ormai parte del mio organismo, sta nel cuore e in testa e nel fegato e nei polmoni, anche se da parecchio tempo non lo seguo come prima.
E anche nel 2011 me l’ero un po’ perso: Safari, 3 anni prima, era stato un bel disco dopo un po’ di roba che mi aveva effettivamente rotto il cazzo, tra singoli forzati e ballate strappa palle.
Ora cambia tutto, prende quello che sapevamo di Jovanotti (la gioia, l’infantile voglia di divertirsi e far divertire, una cultura musicale ampissima) e lo mette sul piano dell’elettronica, della festa su disco, di un disco da mettere alle feste che è già festa di per sé.
Fu anche l’ultimo suo concerto a cui andai, e mi sono divertito davvero tanto. E Jovanotti pure.
Colle Der Fomento – Adversus (2019)

Aspettare 11 anni per qualcosa dovrebbe essere illegale. Però loro sono il Colle der Fomento, hanno fatto 4 dischi in 23 anni e ogni volta hanno cambiato le carte in tavola. Il gioco è lo stesso, quello del rap, e ogni volta che scendono in campo è come l’Italia dell’82: fa scuola.
Danno e Masito, questa volta con Dj Craim ai piatti, tirano fuori il disco della maturità, quello adulto, direbbero i critici veri. Quattordici tracce pensate, ragionate, filtrate, curate fino al più piccolo dettaglio. Ognuna è un colpo alla testa e uno al cuore, dove Masito per la prima volta sembra essere il protagonista di una storia personale, sua, che diventa immediatamente di tutti, con Danno a fare spesso da gregario ma senza mai mancare un colpo, sempre pronto a coprire le spalle al compare di una vita.
Un disco bello, che affonda le radici nell’hip hop più puro e lo mischia con l’autorialità romana, sanguigna, de còre.
A Casa Tutto Bene – Brunori Sas (2017)

Il disco che mi ha fatto ricredere sulla musica italiana, quella dei cantautori capelloni che parlano di dolore e sofferenza. Il disco che ha iniziato ad accompagnarmi che era già uscito da un annetto, e che non mi si è staccato più di dosso. Certo, sembra di sentire De Gregori da giovane, ma non per forza è un difetto: Brunori riesce ad attingere da tutto quel cantautorato da voce stanca e spezzata, e lo porta a un livello nuovo. Almeno per me, che lo odiavo fino a due minuti prima.
Un album pieno di parole belle, di concetti personali, di emozioni globali che vanno dall’amore fanciullesco a quello omicida, dalla canzone impegnata a quella spensierata.
Un bel disco, davvero.
Dutch Nazari – Amore Povero (2017)

La prima volta che ho sentito “Proemio” credo di essere svenuto. Troppa roba tutta insieme, e messa insieme così bene da farti vergognare di aver anche solo pensato, anni fa, di iniziare a scrivere.
Dutch Nazari è forse quello che più di tutti, senza una chitarra e senza la voce, fa il cantautore con il rap. Riesce in qualche modo a tessere trame complicatissime ma di magnifica realizzazione. Quadri complessi fatti di giochi di parole, intrecci di rime che sembrano non arrivare mai, pennellate di ironia, sferzate su sesso, amore, politica, sociale che una volta esposti li vedi e ci rimani di stucco. Magari lì per lì non li capisci nemmeno subito, ma non è mica arte contemporanea che pensi “se va beh, questo lo sapevo fare pure io!”. Eh no, col cazzo. Questo lo sa fare solo Dutch, e lo fa di cristo.
Apollo Brown – Clouds (2011)

Che uno scorre la playlist e si sente male. 27 tracce ventisette che io, da ignorante come la merda come sempre, a non sapere chi fosse Apollo Brown ci son rimasto secco.
E invece è una strumentale lunghissima, un susseguirsi di basi che prima o dopo tutti nel mondo hip hop hanno usato. Brown è un misto tra un compositore e un produttore, qualcuno che vive di beat e li cerca, scava, scova, rimesta fino a trovare quei pochi secondi che insieme a decine di altri vanno a creare quella che è una vera e propria base per le tracce a venire.
Coez – Non Erano Fiori (2013)

Sirvano si era già fatto il suo giro da solo con “Figlio di Nessuno”, ma era ancora fedele alla linea dei Brokenspeakers, con staffilate hardcore che arrivavano fin dalla traccia di apertura (“Ch-Ch-Ch-Coez con il macello nel cervello, hello!”).
Qui invece prende la svolta che l’avrebbe portato, nel giro di 6 anni, a diventare il Coez che riempie palazzetti e fa bagnare le pischelle di tutta Italia. Ancora acerbo, ancora con un po’ di bava alla bocca, dondola e gongola in un universo nuovo che comincia ad esplorare e fare suo, con quei ritornelli che ti rimangono attaccati addosso per sempre. Quello che non tradisce è il modo di rappare cantare, che ha solo lui e che a me piace un sacco: quelle rime spezzate e sospese le ho sempre trovate geniali.
BADBADNOTGOOD – IV (2016)

Il jazz e il funk e la disco e il rap e l’elettronica e tutto quello che ha un ritmo fico in culo loro lo mettono insieme e tirano fuori uno dei miei dischi preferiti di sempre. Anche loro scoperti con questo album, anche loro mi han fatto mangiare i gomiti per le volte che non conoscendoli me li son persi, i BADBADNOTGOOD tirano fuori undici tracce magnifiche, impeccabili, la perfezione fatta suono che potresti sentirti sorseggiando tè e leggendo un libro, che puoi mettere in sottofondo per fare il figo con la tipa nuova, o che puoi anche spararti a tutto volume nelle cuffie mentre cammini e balli e muovi le mani per fare la batteria che tanto, alla fine, non ci riesci mai.
Dead Shrimp – Dead Shrimp (2013)

Un trio romano con la passione per il blues da piedi ammollo nel Mississippi. Tre musicisti maiuscoli con la pagliuzza in bocca, un bottleneck fatto in casa e una batteria minimal. I Dead Shrimp, con la formazione originale composta da Alessio Magliocchetti Lombi (chitarra slide), Sergio De felice (voce) e Gianluca Giannasso (batteria, voce), debuttano con un disco pazzesco, un blues di quelli che, appunto, ti portano via lontano mettendoti un cappello di paglia in testa, una salopette addosso e una bottiglia di Moonshine. Ti trovi scalzo a godere della giornata, balli canti e passa tutto. Una sinergia davvero rara, quella tra i tre ragazzacci romani, che ha portato a un disco che avrebbe meritato molto più ascolto e attenzione.
Calibro 35 – Ogni Riferimento a Persone Esistenti O a Fatti Realmente Accaduti è Puramente Casuale (2012)

Io dico boh, come cazzo si fa a fare un disco dalle atmosfere poliziottesche anni ‘70 nel 2012? I Calibro 35 lo sanno e lo fanno lo stesso. E pure bene. Minchia, lo fanno daddio.
Li vidi una volta in qualche paesino in Salento qualche estate fa, dopo qualche mese iniziai a lavorare all’Angelo Mai, dove tutti i componenti erano praticamente di casa. Li ho rivisti live qualche altra volta, e difficilmente ho visto roba simile in vita mai. Una macchina perfetta, una fabbrica di ritmo impressionante. Nessuno mi leverà mai dagli occhi l’immagine di Enrico Gabrielli che suona due tastiere mentre vola sul sax. Un trauma.
Lucio Leoni – Il Lupo Cattivo (2017)

Lucio è bravo a scrivere e a cantare. Lucio è simpatico. Lucio ha fatto un sacco di cose, in trent’anni e spicci di vita. Ma io non lo sapevo fino a che me lo sono ritrovato a Bologna, in un circolo di Rifondazione, a cantare per pochi intimi che dopo dieci minuti stavano fumando e bevendo come se si fosse in salotto a casa con gli amici di una vita. Poi con Lucio ci siamo intrattenuti dopo il concerto, poi ci siamo ribeccati, abbiamo provato a collaborare ma poi, sapete com’è no, la vita.
Io a questo disco sono tanto affezionato, che è uscito che io e Lucio già ci conoscevamo e l’emozione sua per l’esordio era pure un po’ la mia, e di tutti quelli che gli vogliono bene. E sono tanto.
Quest’anno esce il suo nuovo disco, e mi sa che lo metto già il lista per il 2030.
Miniature – Miniature (2013)

Qui si va sul personale.
Perché è vero, verissimo che il disco d’esordio di Gabriele Pierro e Silvia Caracristi è un gioiello di tecnica, strumenti, voce e intesa che la senti pure in mono, con una cuffia sola e un orecchio tagliato.
Ma è anche vero che gli voglio bene come due fratelli, che mi hanno pure fatto una nipotina, e che sono due delle persone più belle che io abbia avuto la fortuna di incontrare. Se ultimamente faccio stand-up, è anche perché ai loro concerti mi facevano riempire la pausa con le mie cretinate ubriache.
Posso dire che mi hanno dato una casa, una giacca della North Face, alcuni dei migliori pranzi improvvisati di sempre, che mi hanno accolto fin da subito nella loro vita e per me è uno degli onori più grandi che mi siano stati fatti.
Quindi posso dirlo: il loro è uno dei dischi per me più importanti degli ultimi dieci anni, così come loro sono due delle persone più importanti che abbia conosciuto nella mia vita.
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