Siamo la generazione della merda.
Siamo quelli a cui da piccoli han detto che potevamo lanciarci da un palazzo che tanto sotto ci sarebbe stato un camion di materassi ad attutire la caduta. Ed era vero.
Ci siamo lanciati, siamo atterrati sui materassi che però ci han rimbalzato via facendoci precipitare in un fosso di vetri rotti e lamette arrugginite. E quando abbiamo rivolto lo sguardo in alto, al bordo della buca, non abbiamo visto mani a tirarci su, ma piedi a spingerci in basso mentre a calci in culo buttavano dentro i nostri genitori e tutte le loro promesse. Ci siamo trovati a piangere abbracciati, con loro a chiederci scusa ché speravano sarebbe andata diversamente e noi a loro per non essere stati quelli che speravano.
Ma non è colpa loro, non del tutto almeno.
La colpa è pure nostra che abbiamo scambiato la nostra anima per una bevuta la sera, per le fiere su tatuaggi e barbe, per riuscire a beccare lo spaccino e farsi una serata senza pensare. Ma senza pensare a che?
I pensieri veri ci sono arrivati tutti insieme in faccia nel momento in cui abbiamo iniziato a cercare lavoro, casa, un posto dove avere entrambi e ci siamo ritrovati precari con un affitto improponibile in una città che l’unica comunità in cui puoi sperare di entrare a far parte è quella di recupero.
Ci hanno mischiato i piaceri familiari con i doveri della vita, ci hanno privato di ore intere da passare insieme a loro, a cui crollava il mondo del lavoro sotto i piedi e noi a dovercelo creare. Chi si è fatto subito furbo ha capito cosa fare e ha sfruttato ogni occasione possibile, mentre la maggioranza di noi è rimasta in attesa di un mezzo miracolo che non è mai arrivato.
Ci hanno fatto maledire il berlusconismo mentre i nostri genitori abbracciavano i condoni, ultima soluzione di anni infami e magnerecci. Ci hanno fatto odiare venti anni della nostra vita, i migliori, portandoci in piazza a beccarci (come minimo) gli insulti, ci hanno sparato addosso a Genova con Carlo, ci hanno pestato a morte insieme a Stefano e Federico, hanno fatto scappare Giulio per poi ammazzarlo lontano dagli occhi, lontano dagli affari. Ci hanno pisciato in testa dicendoci che pioveva mentre capivamo che fare con la scuola, l’amore, le passioni.
Hanno preferito vederci fuori schema, fuori controllo, fuori dal paese pur di non guardarci in faccia e chiederci scusa, o almeno tenderci una mano.
Io mi ricordo ancora che nei ‘90 avevo la TV grande come quelle di oggi (anche se era un cassone pesante come un post di Fusaro), almeno una vacanza all’anno durante l’estate e il Natale pieno di regali. E lo so che la maggior parte son cose che si perdono negli anni come lacrime nella pioggia, ma non è nemmeno possibile che dopo vent’anni ci si ritrovi senza la speranza di una pensione o a mandare tu i soldi a mamma e papà.
Ci hanno dato i contratti a sei mesi in pompa magna, le nostre prime firme su pezzi di carta validi come un rotolo di scottex nuovo che ti cade sotto il rubinetto aperto.
Ci hanno fatto firmare le dimissioni il giorno del contratto (“Ma quali contratti: passione ci vuole, passione!”, diceva Sergio in Boris), ci hanno dato lavoro come se fosse un favore, ci hanno fatto pagare per lavorare. E per pagarci si sono inventati i voucher, i buoni pasto, a dirti che l’importante è mangiare e magari se sei fortunato per portare a cena fuori la tua ragazza, all’all you can eat giapponese che è più rischioso mangiarlo che andarlo a pescare, quel pesce. Hanno fatto della sopravvivenza la vita normale, hanno aumentato tutto dandoci sempre meno ma dicendoci che era giusto così.
Abbiamo gioito per il primo stipendio a metà con occhiolino annesso, che “il resto fuori busta”, contenti di quei contanti che finivano vaporizzati nell’alcool e nei viaggi chilometrici per andare dalla tua ragazza a 600km, 12 ore di sofferenza spacciate per lusso, mentre smantellavano piano piano chilometri di binari spezzando il paese in due.
Ma abbiamo sbagliato pure noi eh.
Ci siamo convinti che sarebbe bastato scendere in piazza, che Berlusconi e la Moratti e Mediaset e il conflitto d’interesse e il Lodo Mondadori e le opa alle banche e la Bossi-Fini e tutta quella merda coi nomi grossi ma le scritte piccole, incomprensibili, le avremmo potute spazzare via con i cartelli e i balli e i sassi e le camionette.
E invece ci hanno risposto con Carlo, Federico, Stefano, Giuseppe. Ci hanno detto che il problema era Er Pelliccia e per colpa sua ci han chiuso le strade davanti, sigillato i cassonetti e piombato i tombini. Poi da quei tombini abbiam permesso alle zoccole di uscire, impestare le città e arrivare fino ai palazzi di potere. Abbiamo barattato 20 anni di mani bianche e girotondi e Nanni Moretti per i fascisti al governo.
Ci siamo illusi che un Ryanar a venti euro ci avrebbe permesso di viaggiare davvero e invece andiamo sempre nelle stesse città a mangiare negli stessi posti a ballare negli stessi locali perché quella città ci fa sentire davvero a casa, ché a casa non ci hanno mai fatto sentire davvero. Ci hanno detto che potevamo viaggiare tanto a poco, e poi abbiam visto i nostri fratelli africani affogare per un viaggio breve a tanto. Ci hanno dato i TreniOK per toglierceli subito dopo, e invece di rompergli il culo ci siamo presi i Frecciammerda, abbiamo guardato mentre prendevano i binari al sud e li spostavano al nord, abbiamo osservato Roma essere coperta di rifiuti de monnezza e rifiuti umani. Abbiamo accettato di essere meno rivoltosi dei nostri genitori perché tanto avevano già fatto loro, con evidenti risultati. Ci siamo comprati “Come Te Nessuno Mai” come film generazionale e due anni dopo ci hanno rotto le gambe a Genova. Abbiamo occupato i licei per farci le canne e i workshop sul surf. Siamo scappati sempre davanti ai poliziotti, perché le manganellate le abbiamo lasciate a quelli dei centri sociali, che loro stavano lì anche per quello, oltre che per occupare i posti dove andavamo a farci le canne e i workshop sulla birra. Ci hanno venduto i CSOA come ultimo forte di resistenza contro il capitalismo, la mercificazione dell’uomo, per la dignità lavorativa e umana, e siamo andati nei loro luoghi con le Vans nuove, fatti ammerda, le Domeniche pomeriggio in ansia ché il giorno dopo si lavorava, e chissà ancora per quanto.
Ci siamo fatti piegare così tanto che dal culo ci vedi le tonsille, ma non ci siamo spezzati, non abbiamo avuto nemmeno il coraggio di fare “a 27 come Amy”, buttandoci dal ponte d’Ariccia o sparandoci l’ago nel braccio. Non siamo riusciti a morire, ma non riusciamo a vivere, e questo non è nemmeno sopravvivenza però, non prendiamoci per il culo: abbiamo cose, ne compriamo altre senza cambiare le vecchie, ci compriamo il fumo, l’erba, la sangria, un libro ogni tanto per fingerci liberi, vestiamo bene, possiamo lavarci il culo e la testa in una casa che per quanto costi comunque ci sta intorno, sopra, sotto, e non dobbiamo stare come chi ha perso tutto, o ha deciso di abbandonarlo per sempre.
Ci siamo fatti abbindolare dalla sicurezza della laurea e nel frattempo nel suo contrario, che averla era inutile, che era meglio lavorare, e allora vai di vendemmie, magazzini, call center, uffici, telefoni, rinnovi di contratto firmati l’ultimo giorno.
Ci svaghiamo con l’arte che paghiamo cara, da un concerto a un museo, da un disco a una semplice serata. Ci fradiciamo di alcool, ci inzuppiamo di musica, ma ci sentiamo aridi e asciutti come i nostri portafogli a metà mese. Balliamo sulle pensioni che non avremo mai, su figli che vorremmo “ma poche je damo da magnà?”, ci fumiamo su ai nostri genitori che non hanno case da comprarci, al fatto che non abbiamo “nessuna ricchezza da erodere”, come dice Galimberti. Facciamo gare continue a chi ce l’ha più’ lungo senza manco tirarcelo fuori, perché tutti pensano di non poter manco competere. E chi lo fa è un alieno, un arrivista, un pazzo che pensa di riuscirci in questo mondo di merda e magari, alla fine, ci riesce pure. Il dialoghista depresso su Facebook, la shopping addicted su Instagram, il satiro su Twitter: tutti quanti si prendono i loro 15 minuti di gloria e a noi rimane una vita di gloryhole, a infilarci le mani sperando di trovare il cazzo giusto, tastandone centinaia di sbagliati.
Ci hanno pisciato sulla schiena dicendoci fosse pioggia, ok, ma l’abbiamo mai annusata? L’abbiamo toccata, odorata e capito che era piscia? Davvero non ci siamo mai accorti che fosse urina, e siam stati lì a pagare l’ennesimo ombrello dai bangla, indubbio prodotto utile solo al riciclo di denaro visto che si sfonda dopo due secondi? L’ombrello eh, non il bangla.
Siamo quelli che ci interessa tutto ma non partecipiamo a niente. Altri stanno ovunque ma non gli frega un cazzo di nulla. Siamo quelli della metà strada, del compromesso, del crisitanissimo senso di colpa per tutto e della cattiveria su niente. Ce la prendiamo con noi stessi perché le colpe degli altri ci sembrano anche le nostre. Ci incazziamo sulle stronzate me non sappiamo mai come gestire le cose serie. Ci spaventiamo, ci tiriamo indietro, ci sentiamo meno degli altri, si disperiamo, ci lamentiamo ma stiamo sempre qui, con la password di Netflix salvata che mica possiamo ricordarcele tutte, queste parole chiavi. Memorizziamo la nostra sicurezza virtuale e fingiamo quella di tutti i giorni, quella reale. Pensiamo di essere salvi, al sicuro, ma siamo più nudi degli invasori di campo nel calcio. Pensiamo di non poter far nulla per cambiare il mondo e alla fine non facciamo nulla nemmeno per cambiare il nostro. Barattiamo privacy per pubblicità, diventiamo prodotti di noi stessi, brand senza logo, comunicazione senza un piano preciso. Diciamo cose di cui ci pentiamo e ce ne risparmiamo tante che dovremmo tirare fuori.
Siamo stanchi senza faticare, abbiamo sonno senza perderlo davvero, stiamo fiorendo e il mondo intorno comincia ad appassire.
Abbiamo sbagliato i tempi fin dall’inizio, e nessuno ci ha dato il la per riprendere il ritmo.
Abbiamo sbagliato tutto senza fare niente, e ne pagheremo le conseguenze per sempre.