
“Sai quando te rode er culo?
Ti svegli la mattina e te rode er culo.
Oh, succede eh. Non è mica un crimine. Lo è un po’ nei confronti di sé stessi, ma alla fine uno come se incazza se scazza.
E ieri mattina io così mi son svegliato, che me rodeva er culo. Mi sono alzato e me rodeva, ho bevuto il caffè e me rodeva, ho fatto la cacca e me rodeva (doppio problema in quel caso), mi son fatto una canna e mi son vestito e sono uscito e niente. Me rodeva.
Di quelle cose che mi son buttato in mezzo a Feira da Ladra e il sole e la mascherina e non avere soldi per comprarsi manco una bambola di pezza per fare il voodoo mi ha fatto rodere ancora di più.
Allora ho tirato dritto in mezzo al mercato, son sbucato su a Graça e mi son buttato a Nossa Señora. Lo conosci, il miradouro di Nossa Señora do Monte? Si chiama così perché in cima c’è la madonna, dentro un teca, che protegge la città dall’alto. Ed è molto alto eh, roba che quando arrivi su vedi Messner che ti da una pacca sulla spalla con le sue dita tutte mozzate, tiri una botta di bombola d’ossigeno e svieni per un quarto d’ora abbondante prima di rialzarti e poterti godere uno dei panorami più grossi della città.
Ieri mattina però, in mezzo alle poche persone sedute sulle panchine, non c’eravamo solo io e la madonna.
C’era anche Fernando.
Appena arrivato, mi sono seduto su una panchina e questo signore col cappello di paglia, la maglietta arancione con lo stemma di Graça e i pantaloni di lino nero con attaccati stracci e straccetti mi si avvicina, scopa in mano e sorriso in faccia. Mi consiglia di spostarmi da quella panchina, che ancora deve pulirla. Perché a quanto pare ‘sto signore un po’ particolare sta lì e si mette a pulire il piazzale del miradouro.
È gentile, mi indica una panchina appena pulita dopo avermi offerto di farmi sedere su quella dove tiene la sua “attrezzatura”: uno zaino pieno di cianfrusaglie, due contenitori spray per pulizie vuoti, e tanti mazzetti di fiori ed erbe messi a seccare uno in fila all’altro.
Io mi siedo, lui continua a pulire e a cercare di fare conversazione un po’ con tutti, riuscendoci raramente. Da oltre le cuffie che cantano Willie Peyote lo sento parlare di continuo, ma non sembra né petulante né agrressivo, nel suo voler chiacchierare. Ci prova, e se non ci riesce gli va bene così.
Mi giro una sigaretta, mi alzo e mi avvicino alla ringhiera che da su quella parte lì, quella che mi ero ripromesso di non andare a scrutare. E proprio mentre son lì, con gli occhi sotto le lenti scure che si muvono feroci in mezzo alle finestre, mi sento toccare una spalla. Mi giro tirandomi giù una cuffia, e mi trovo il signore davanti che con un sorriso oltre la sincerità mi guarda e chiede:
– Sei un po’ triste?
Cazzo.
Beh, triste. Me rode, vorrei rispondergli.
Ma col mio portoghese stentato gli dico che sì, un po’ triste lo sono, perché cazzo è vero, sono tanto triste. Mi chiede se voglio parlare un po’, gli spiego che parlare portoghese ancora non è proprio il mio forte e che comunque non saprei che dire, oggi, adesso.
– Beh, se vuoi un po’ di compagnia, parlo io mentre mi dai una mano a pulire! Piacere, Fernando!
Ma sai che c’è?
Ma sì Fernà, dai.
L’ora successiva è stato esattamente quello di cui avevo bisogno quando pensavo di non potermelo permettere: una distrazione.
Fernando alla fine non mi ha fatto raccogliere manco una cartaccia, ma dopo essersi fatto offrire una sigaretta (senza fretta, senza scroccarti l’anima come spesso accade qui), comincia a fumare e raccontarmi del posto, della sua missione di pulire per far godere chi ci si ferma un po’. Per lui è inconcepibile che le coppie vengano qui a pomiciare, e per terra ci sia lo schifo.
Fernando rimedia quel che può: non è un barbone, non ha grossi problemi, da quello che capisco ha anche una piccola casa fuori città. Fernando mi fa capire che ha avuto un sacco di problemi (picchiato dalla polizia, derubato per strada, a fianco di un amico in ospedale dopo un brutto incidente), però allo stesso tempo è stato anche aiutato. E per questo la sua missione pare sia portare un po’ di bello in quell’angolo di città, restituire un minimo di bellezza scoprendola da sotto il marcio di tutti i giorni.
Mi invita a pranzo (“il mio amico pakistano fa un pollo al curry meraviglioso!), mi spiega i simboli intorno alla teca dove sta la madonna, mi dice che il vialetto che parte dalla chiesa e termina alla statua perché la madonna è uscita apposta per proteggere Lisbona. Mi dice pure che, ai tempi dell’inquisizione, da quel punto altissimo ci lanciavano le persone con la catapulta.
E in tutto questo, Fernando sorride. Apre gli occhietti e li illumina ogni volta che dice
– Claro!
quando sgrano gli occhi a ogni suo aneddoto.
Sta un po’ in fissa con la religione eh, ma va bene: non prova a convertirmi, non tenta di convincermi a dare il mio cuore a Gesù, ma ha una fede fortissima che lo fa assomigliare a uno di quei monaci scalzi e poveri che sorridono nonostante non mangino da giorni.
Mi ripete le cose quando non capisco, ogni tanto parla in italiano, ma mentre sono lì per un secondo penso che le parole siano davvero inutili a volte: il suono della sua voce, le interruzioni, i suoi “Claro!”, il suo prendermi per un braccio per farmi vedere un angolo nascosto parlano mille volte meglio di un qualunque discorso.
Gli compro un mazzetto di fiori, che seleziona con cura tra quelli a disposizione facendomeli annusare uno per uno: ha quello alla menta, alla salvia, e alla fine opta per uno con un po’ di tutto.
Mi ripete del pranzo, ma porca zozza io proprio oggi ho da fare e quindi non posso Fernà, davvero.
Ma per lui va benissimo così, non cè problema perché è sicuro che tanto ci reincotreremo e avremo più tempo. Sorride, mi porge la mano e io d’istinto me lo prendo e me lo abbraccio, a Fernando, e lui abbraccia me.
Mi giro e mi riprometto di non piangere, ché questa cosa chiama proprio strappo di capelli e pugni sul petto.
Una di quelle cose che vorresti gridare a tutti perché tutti ti vedrebbero felice, distratto, come quando scrivi un bel pezzo, o esci con una bella ragazza.
Respiro forte e penso che sì Fernando mio, me rodeva ed ero triste, ma me ne vado con il cuore leggermente ricucito. Giusto un punto messo al volo eh, che non è che fermi l’emorragia o il dolore, ma di sicuro mi fa capire che tutti potrebbero mettere due punti, se solo fossero brave persone come te.”
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