Era Mio Padre

Wes

Sono due anni che vorrei scrivere qualcosa su questa storia.
La mia, storia.
E già questo mi ha sempre fatto venire dubbi sul farlo o meno, ché fin quando parlo di me dicendo e non dicendo lo faccio volentieri e con quella giusta dose di egocentrismo che serve sempre.
Qui è diverso. Perché se un paio di volte degli status incazzati mi sono usciti fuori, sempre generici ma ben mirati, adesso la situazione è diversa. Uguale, ma diversa.

In breve.

Due anni fa, per problemi in famiglia e perché raggiunta quasi la veneranda età di 30 anni, sono andato via di casa. Sono stato qualche mese appoggiato da un amico, poi casa a Piramide con un coinquilino ed ora in una casetta tutta per me.
Nel frattempo, fin da prima che andassi via da casa mia, era nata una forte discussione con mio padre (non sto qui a farvi la cronologia di tutti gli scazzi, che sennò finiamo mai). Anche questa per futili motivi. Discussione che si è protratta per mesi, fino ad un incontro che sembrò chiarificatore, con tanto di abbracci e promesse di.

Due mesi dopo, due mesi in cui non ci sentiamo sentiti perché “continuiamo a fare le cose nostre”, due mesi dopo scendo in Salento dove lui e mia madre, con mio fratello, si trasferirono quasi dieci anni fa.
Due mesi dopo scendo e smette di parlarmi.
Smette di parlare con me, con mia madre, con tutti i suoi contatti conosciuti al Sud.
Terra bruciata.
Un incendio auto inflitto che dura tutt’ora, con fiamme di odio represso che ogni tanto si alzano, un insopportabile caldo di affermazioni e dichiarazioni che ci vorrebbe il contraddittorio in diretta nazionale per spegnere il tutto.

E invece no.

Ops

Uno stillicidio di due anni, fatto per lo più di un silenzio imbarazzante ed incomprensibile, apice ultimo di una vita genitoriale passata a strillare, ammutolirsi, sparire.
Io vi giuro che ‘sti due anni ho fatto di tutto, per ricordarmi cosa e quando è successo, ed a parte le stronzate che fai pure da grande (non pulire la stanza, aver rovinato qualcosa a casa) io non lo so, che cazzo è successo.
Ma la cosa più brutta è che pare che la colpa di tutto sia mia. Se ora non va più da sua moglie e suo figlio, se ha deciso che giù a Tricase son tutti stronzi, se si è chiuso nel suo negozio polveroso e desolato, se non lascia casa, la colpa è mia. O almeno, tutto è nato da me, dal mio non essere forse il figlio che voleva.

Eppure mi ricordo gli ultimi anni, passati come due inquilini che stanno poco in una casa dove bisognerebbe aggiustare tutto. Lui che alzava pannelli da solo, lui che puliva il magazzino da solo, lui che gestiva il negozio da solo. Tutto da solo, nonostante la mia costante disponibilità ad aiutarlo sia per imparare cose nuove, sia per non gravarlo troppo di pesi e fatica alla soglia dei 60 anni.
Ma no, secondo lui non dovevo aiutarlo (“ce la faccio da solo”), ma nel frattempo dovevo fare cose che se non facevo allora ero stronzo. Solo che io, ‘ste cose, mica ho mai capito cosa fossero.

Mi chiedo se ora che ho un lavoro, una casa, mi mantengo più o meno decentemente da solo, possa andar bene. Mi sono chiesto in questi due anni perché non mi sono meritato gli auguri per i miei trent’anni. Perché non c’è stato un riavvicinamento, un domanda, un “coma va?”.
Nulla.
Zero.
Nisba.
Come se non fossi mai esistito, o non mi fossi mai riuscito a far capire.

Cat

“Va beh ma tu ci hai provato a parlare?”, mi hanno chiesto le persone con cui ne ho parlato.
La risposta è: no.
No, perché dopo 29 anni passati a basare le mie giornate sull’umore altalenante di una persona frustrata, dopo aver avuto le ansie ogni volta che sentivo il suo furgone salire la strada di casa, dopo aver passato settimane con una persona che nemmeno ti salutava al rientro beh, io ho smesso di lottare. Di crederci proprio, nel pentimento o comunque nell’esame di coscienza. In questi due anni io me ne sono fatti così tanti di esami che dovrei essere laureato in Coscienziologia, cristo. Sto continuando a sputare sangue mentre lotto contro i demoni paterni che hanno incancrenito il mio DNA, rendendomi spesso muto, umorale, stizzito, scattoso. Ancora oggi rivedo troppi difetti non miei, ma assimilati per osmosi in anni si stretto contatto con lui.
E rimango tutt’ora basito quando vengo a sapere che non chiama mia madre da mesi perché non vuole lui. Quando sento che nemmeno fa una chiamata a mio fratello. Quando mi ritornano in mente tutte le cattiverie che diceva su persone che, non ci fossero loro, ora staremmo molto peggio, economicamente ed affettivamente.

Perché tutto ora?

Beh perché è andata in onda una puntata di “Giardini da Incubo” in cui gente che dice di essere sua amica (mai vista in vita mia) ha voluto regalargli la visita di quel grandissimo omofobo e razzista di Lo Cicero. Sì, quello che doveva diventare Assessore allo Sport nella giunta Raggi e che, per fortuna, non è stato confermato andando così ad evitare almeno una sicura (ennesima) figura di merda a Roma.
Questi “amici” hanno invitato ‘sto scemo mentre mio padre “era in Puglia” (cosa non vera, o almeno non si è degnato di andare da mia madre), e lo hanno fatto perché “in grave crisi economica” e “solo”.
Poverino.
Immagino che mandare quei due spicci a mamma ogni mese sia tosta eh? La stessa mamma che ora si spezza la schiena otto ore al giorno a lavare i piatti per fare la spesa. La stessa mamma che in quel giardino ci sputava il sangue.
E poi, “solo”. Solo hai deciso tu, di starci. Hai preferito il silenzio della solitudine alle parole del confronto, della discussione educata, dell’esposizione dei problemi e conseguente brainstorming sulle soluzioni.
Hai preferito abbandonare tutto e tutti, per poi andare in giro a piangere miseria e nobiltà. Il grande paladino di Malagrotta. L’eroe dei nostri tempi.
Ma per favore.

Casa2

Vedere Lo Cicero che si mette in testa il mio fottuto canestro a mò di aureola mi ha spezzato dentro, definitivamente. Il giardino dove tante volte mi sono messo a pensare, a ragionare, a perdere tempo.
Mi sono ripromesso mille volte di non scrivere nulla ma a ‘sto giro è più forte di me. È un fiume in piena che mi sono stancato di provare a contenere, e che è giusto faccia il percorso più consono alla mia vita. Quindi scriverlo. Quindi pubblicarlo.

Questa volta sono stanco, sono arrabbiato, ma soprattutto sono deluso. Tanto. Troppo.

Due anni passati a chiedermi cosa ci sia di sbagliato in me, cosa posso aver fatto, ed ecco che me lo ritrovo circondato da gente sconosciuta, mentre prende due bambini in braccio e li bacia come non credo abbia mai fatto nemmeno con me.

E allora auguri per tutto, per la tua fede calcistica verso i Cinque Stelle (mi sai spiegare come mai il consulente del tuo amico Vignaroli adesso ha delega per ambiente e lavori pubblici?), per l tua voglia di solitudine, per la tua faccia che non è nemmeno come il culo, ché almeno da lì esce un qualcosa di utile per concimare il tuo bel giardino.

In Bocca Alla Lupa

Io che mi alleno per i prossimi scazzi sui social.
Io che mi alleno per i prossimi scazzi sui social.
Ieri, dopo il mio post sulla Raggi e sull’avviso di garanzia che pare proprio le arriverà, mi sono stati fatti notare i grandi traguardi raggiunti dal M5S, nonché il ridicolo post della stessa Virginia che provava a difendersi dalle accuse mostrando un documento che attesta la ricezione di nemmeno 2000€ su 13000€ da dichiarare.
Ma tornando al “hanno fatto anche cose buone”, mi è stato fatto notare che:
– si sono decurtati lo stipendio;
– hanno fatto una strada;
– fanno opposizione.
Really
Ma per favore.
Al che rispondo:
“Vanno dichiarati i compensi spettanti, non percepiti. Se non ti pagano è un tuo problema, te la risolvi te, ma tu devi dire quelli che ti hanno promesso nel contratto. Punto, le chiacchiere stanno a zero. E informati meglio anche su di me, non ci si informa a settori e a caso quando appaiono le cose.
Dello stipendio e dellA stradA (una, che dopo manco un mese è stata chiusa perché per due gocce d’acqua stava crollando) ne abbiamo già sentito parlare. Non si sente parlare dei defibrillatori comprati con la parte di stipendio che si levano e su cui hanno messo il marchio sopra, donandoli poi ad una scuola (che grazziaddio ha rifiutato) ripeto: con il marchio vostro sopra. Ma per favore dai, la propaganda fascista faceva meglio.
E fare ostruzionismo su ogni singola cosa non porta sempre benefici, vedi unioni civili e legge “dopo di noi”.”
Dovrebbero farmi santo, a volte.
Dovrebbero farmi santo,            a volte.
Lo scrivo non per rincarare la dose, ma per lanciare un ultimo accorato appello:
Cari Grillini,
oggi probabilmente per voi sarà una vittoria. Schiacciante, minima, io comunque penso proprio che sarà il vostro turno per governare una città vera e propria.
Io giuro che ancora non se, e cosa voterò. Sicuramente andrò al seggio, ma solo nella cabina deciderò se votare uno dei due, se scrivere “IGNAZIO MARINO C’È SOLO UN IGNAZIO MARINO” o “cacca”. Però ci vado perché non voglio responsabilità in merito, e soprattutto voglio avere voce in capitolo quando -sicuramente a breve- mi lamenterò.
Vote
Fatto sta che da domani vi pioverà addosso talmente tanta di quella merda che io già so che mi toccherà pure dire “eh va beh ma non esageriamo”. Perché la macchina del fango voi la conoscete meglio di tutti. Vi siete inventati quella 2.0, fatta di giornalisti da mettere alla gogna e scritte in maiuscolo su chi sta in carcere degli altri partiti. Ricordatevi però che quando esce fuori qualcosa su di voi, tipo un avviso di garanzia, per “ONESTÀ!!1!” dovreste fare un passo di lato, indietro, in alto. Fate voi.
Nessuno è intoccabile, nessuno è puro. Io non mi candiderei mai a nulla di importante, perché mi cacherebbero il cazzo sulle droghe leggere e l’uso improprio di bestemmie, tra le tante cose. E se avete sbagliato qualcosa, come dichiarare di meno, ci può pure stare la buonafede, ma ci sta anche che avete sbagliato e quindi muti. L’onestà prevede anche la bontà di animo nel fare le cose, e non sempre porta a risultati positivi perché spesso si confonde con l’ingenuità, l’essere inesperti che porta a commettere errori, oltre che ad avere il culo dei principianti.
Insomma, una figura di merda la potete pure fare, però poi dovere imparare dai vostri dannati errori. Altrimenti la gente, ogni volta che aprite bocca, reagirà SEMPRE così:
Ops
Quindi adesso sedetevi, respirate, pensate a domani e mettetevi l’anima in pace, perché sarete proiettati in un mare di merda in tempesta, su una zattera che avete fatto al volo con punti esclamativi legati tra loro con cavi di mouse. Ora c’è la vita vera, c’è una città che anche grazie al vostro contributo è precipitata di nuovo in un vortice di magagne e mani unte e occhiolini e contratti chiusi sulla parola. Vi aspetta una popolazione che si stanza subito dopo aver chiesto l’immediato, che già domani vorrà buche tappate ma che con voi per un po’ chiuderà un occhio.
“Diamogli tempo, sono giovani, si devono fare le ossa.”
Beh, quelle ossa ve le farete al punto da rompervele. Perché io ci credo eh, che ci proverete davvero a stanare il malaffare e bonificare tutto. Ma non funziona come volete voi, non si fa ad urla e slogan, con promesse utopiche al limite del grottesco. Roma nun vòle padroni, e non si lascia addomesticare così facilmente.
Soprattutto se non vi siete prima mai fatti annusare.

Il Nemico Pubblico Siete Voi

PublicEnemy2

Ieri sera sono andato a vedere un pezzo di storia delle musica tutta, i Public Enemy.
Boom baby direi, ché io è la scena rap non è che siamo amici ma ci vogliamo comunque bene, e dopo Wu-Tang e Cypress Hill, non potevo perdermi chi ha contribuito a rendere la musica più ricca, potente ed impegnata. E poi oh, hanno fatto «He Got Game», che per me è come vedere la Gioconda dal vivo pure se non conosco tutti i quadri del Da Vinci.

HGG

Insomma, grazie principalmente al Emiliano che mi ha prestato i soldi del biglietto pur sapendo che li rivedrà quando avremo un primo ministro grillino, ieri andiamo a Spazio 900. Ce lo avete presente? Sta all’EUR e pare un posto dove farebbe fallire le feste Jep Gambardella. Quindi, l’associazione «negri esperti nell’arte del rap” dentro a «luogo che va bene per la droga costosa” non c’azzeccava molto ma tant’è, c’era il rischio pioggia e poi non è che ci si possa lamentare sempre.
Forse.
Perché quello che ha catturato la mia attenzione, e che mi ha non poco sorpreso, è la gente di merda che c’era. Io concerti rap/hip hop grandi e piccoli me li son fatti. Al chiuso con le svampre d’erba che quasi ti infastidiscono, all’aperto col freddo boia, insomma le classiche situazioni da concerto ma con intorno una fauna a sé. E che di solito è educata, anche perché ‘sti rapper non è che si odiano e si portano le pistole dietro, né son sempre incattiviti e pronti a menarti (tranne una bodyguard di Flavor Fav che stava per sgozzare con lo sguardo proprio Emiliano, che lo ha toccato mentre passava tra il pubblico), e di conseguenza la gente è sempre presa bene, visto che pure i testi vogliono quello: unione, condivisione, e al massimo odio per dei mali che sono sempre più grandi di noi.
Partiamo anche da un presupposto importante però: ieri il mio livello di misantropia oscillava tra il «rimango a casa così non mi incazzo con nessuno» e «esco SOLO per prendermela con qualcuno», che poi è un tutto un rosicamento interno che non è attacco briga. Anzi, abbozzo pure troppo. Diciamo che ero un misto di noia, incazzatura, irritabilità e apatia nei confronti del mondo classico del periodo premestruale.

Feel

Quindi, nell’ordine, ieri mi son dovuto subire:

– buttafuori che ci guarda male nonostante stessimo portandogli 150€ di biglietto. Evidentemente è abituato a gente incravattata e con rimasugli di polvere bianca alle narici, noi che al massimo ce l’abbiamo sulle spalle di magliette con le scritte;

Lisa

– un gruppo di pischelli appena baciati dalla dea barba già ubriachi e fatti come fegatelli alla brace, agitati manco stessero aspettando un carico di corpi umani su cui fare esperimenti con la colla a caldo. Io dico no, ci sta a rompere il cazzo al prossimo ad un concerto, soprattutto se sei sulla terra da dopo l’undici Settembre. Però non è che puoi SOLO, rompere il cazzo alla gente. Non puoi pestarmi i piedi di continuo, sempre, ogni volta che respiri, perché stai ballando su un pezzo che tutto vuole, tranne che tu ti muova come uno affetto da sindrome di Tourette mentre gli sparano peperoncini sul collo con le cerbottane, epporca puttana. Poi, all’improvviso, uno si ferma e si piazza esattamente a a cinque centimetri dal mio mento, di spalle, con i suoi capelli a spazzola dimmerda proprio sotto al mio naso. Immobile, tranne quando ondeggia all’indietro toccandomi appena il petto con la schiena per poi staccarsi, poi di nuovo, poi no, poi di nuovo. E questo nonostante i miei calci dietro ai suoi talloni, e sbuffate di aria calda dal naso proprio in testa. Niente;

Angry3

– ecco, ‘sta cosa dello stare appiccicati. Parliamone. Senza nulla togliere all’evento, ieri anche sotto palco c’era spazio. Abbastanza spazio da permettere a noi cinque di ricavarci un nostro angolo dove ci siamo messi e dove siamo stati tranquilli e fermi, a vedere il concerto, non a provare ad entrare in simbiosi con la gente. Cazzo. Se intorno a te c’è spazio di manovra, di quello che puoi pure metterti con le gambe un po’ larghe per delimitarne i confini, cristo santo tu non puoi piazzarti coi tuoi talloni sulle mie punte. È fuori logica, irrazionale, è assolutamente incredibile che la gente si porti dietro il suo cazzo di metro quadro di egoismo ed egocentrismo ovunque. Non lo lascia in macchina per sbraitare appena scatta il verde, non in ufficio per sentirsi migliore di tutti, non se lo tiene in tasca per sicurezza. No. Bisogna sempre averlo sotto ai piedi, piccolo orticello portatile da usare come scusa quando non si sa vivere nel mondo, quando l’educazione manca come il respiro quando realizzo quanta gente stronza c’è al mondo;

Angry

– e poi, ultimo punto, che so di aver già toccato ma che proprio io non ce la faccio: i cellulari. Regà, ‘sti cazzo de telefoni. Basta, ve prego. Già i Public Enemy ieri v’han chiesto di tirarli fuori, non c’è bisogno poi di averceli sempre tra le mani. Mani che lo tirano su e lo tengono, su, per troppo tempo. Io non posso vedermi un lvie attraverso i display per dio, sennò sto a casa e poi mi vedo i vostri cazzo di video di merda. Non potete sempre mandare note vocali. Io capisco chi lo fa una volta perché le manda al fratello fuori dall’Italia e fuori per il rap, davvero. Ma avete TUTTI una persona fuori dall’Italia? Tutti avete qualcuno a cui mandare metà concerto via note vocali, che tanto quello che gli arriva è un fruscio fortissimo, i piatti che sgranano e la voce di uno che va e viene di continuo? Dai. E poi le foto, i seflie, gente che sta con la faccia sul cellulare mentre sul palco si fa la storia. Eccheccazzo. Una, foto. UNA. Io ve lo dico, regolatevi, che è un attimo che uno sbrocca davvero e ve li fionda sul muro.

UNA foto.
UNA foto.

Insomma, ribadisco la mia non predisposizione alla vita sociale, ieri sera come spesso mi accade ormai ad eventi affollati. Sarà che me sento pure un po’ stocazzo eh o forse che penso troppo, però mamma l’educazione me l’ha insegnata e me la porto dietro sempre, che sempre serve. Dovreste imparare pure voi ad essere un pochino più educati col mondo, un po’ più rispettosi (lo so, ci provo) verso il prossimo. Poi uno i momenti suoi ce li ha sempre eh, però cazzo, se state davvero così tutti i giorni l’estinzione è vicina, ed augurabile.

(e davvero, gran cazzo di concerto, stra contento alla fine di aver visto per la prima volta quei mostri ed un poco di Gigi Egreen Fantini che mi fa sempre volare altissimo)

“Lo Chiamavano Jeeg Robot” – I Miei Due Cent

“Ma che t’ha mozzicato, un ragno? Un pipistrello? Sei cascato da ‘n’artro pieneta?”

Questo è quello che dice Lo Zingaro, interpretato da Luca Marinelli, a Enzo Ceccotti, un enorme (in tutti i sensi) Claudio Santamaria.
Glielo dice con gli occhi da pazzo, un po’ Joker un po’ personaggio di Guy Ritchie, affamato di notorietà e potere come non mai.

È una delle scene di “Lo Chiamavano Jeeg Robot”.
Una perla quasi appoggiata nel panorama del cinema italiano, silenziosamente calata dall’alto come farebbe il più classico dei supereroi.

Non vi dico la trama, che quella è facile facile: prendete tutti i più classici stereotipi dei fumetti e film sui superereoi, ed avrete la struttura del film.
Ma è quello che ci viene costruito sopra, e come, a fare la differenza.

Jeeg2

“Lo Chiamavano Jeeg Robot” (da qui “LCJR”, che sennò sbrocco) è un film che va visto se vi piacciono varie cose, e non per forza tutte insieme, tipo: fumetti e robocartoon di enormi pupazzi di latta che se le menano fortecchiaro (no, non ero un fan, io vedevo “La Signora Minù”), un film con una bellissima fotografia, Roma per quello che è (ovvero una città sporca e cattiva che senza aggiunte è una perfetta Gotham), un cattivo superbo che di solito dici di vederlo solo nei film americani, un buono con un sacco di problemi che di solito dici di vederlo solo nei film americani, una protagonista femminile eccezionale che mi ha fatto andare simpatica quella parlata coatto-ripulita-strascicata che anzi fa metà del personaggio, le tette, Santamaria con la panza che comunque fa sempre un sacco manzo, la maschera da supereroe più bella di sempre, alcune delle imprecazioni romane più belle di sempre (“Saremmo due fiji de ‘na supermignotta” mi ha devastato), il Danone, la Curva Sud e di conseguenza la Riomma, il dramma, il dramma interiore di un uomo chiuso in se stesso, il dramma di una ragazza problematica, il dramma di una persona che distrutta dalla voglia di fama-soldi-luce della ribalta criminale è disposto davvero a tutto, il dramma di una città sconvolta da attentati, le tette.

Jeeg

“LCJR” è un film attuale e nuovo nonostante sappiate fin dall’inizio come andrà a finire.
O forse no.
Certo è che io non son bravo a fare le recensioni ma posso metterci la passione per una cosa che mi ha entusiasmato. Posso dirvi che dovreste andare al cinema a vederlo, perché diamine son soldi spesi benissimo. Posso dirvi che vi emozionerete. Posso dirvi che questo film è riuscito sicuramente in un’impresa: quella di ammutolire, in una delle scene più alte, una sala di spettatori quasi tutti casuali, di quelli da multisala e “boh annamese a vedè Gigghe Robbò che l’artri posti sò tutti finiti”. Tutti muti, dopo una visione comunque -lo ammetto- interessata e disturbata solo da quella cretina che dietro di me non riusciva a non scalciare il mio schienale ad ogni cambio di posizione.

Jeeg3

Posso assicurarvi comunque che è un film coraggioso, tecnicamente al limite della perfezione, con interpreti in stato di grazia ed un regista (Gabriele Mainetti) che qualcosa ci ha già detto e che ora ce lo dice un po’ più forte ancora, tirandoci per la manica della giacca ed indicandoci uno dei tetti dell’EUR, di Garbatella, di Trastevere, facendoci notare un’ombra che, spero sinceramente, torni presto a darci almeno il senso, della protezione.

(a margine, vi segnalo l’iniziativa della Gazzetta con la quale, dal 20 Febbraio, si può prendere il fumetto ispirato al film scritto da Roberto Recchioni -che ha anche disegnato una delle quattro copertine variant-, disegnato da Giorgio Pontrelli e Stefano Simeone, e con le restanti tre copertine realizzate da quegli altri tre supereroi di Giacomo Bevilacqua, Zerocalcare e Leo Ortolani)

E Poe Sia – ‘a Farfalla

Farfalla

Oggi, mentre camminavo per annà verso la metro,
me s’è accostata ‘na farfalla,
pe ‘n’attimo m’è parso me seguisse, me dicesse “Torna indietro!”,
mentre sbatteva l’ali nell’aria calla.

“Torna indietro, fidete, nun te ne pentirai”,
me sussurava piano ad ogni piè sospinto,
“guarda che nun importa le corse che farai
da qui nun schiodo, finché nun t’ho convinto!

Gira i tacchi, arza er mento, tira ‘n fòri er petto”,
insiste la farfalla petulante,
“molla qui la tua giornata, portete rispetto.
Còri ‘ncontro a Lei, ch’è la cosa più ‘mportante”.

“Farfalla mia, farfalla chiacchierona,
te ringrazio de esse così carina,
capisco che l’intenzione tua è bona,
ma si nun vado a lavoro è ‘na rovina!

Rischio grosso, potrei esse licenziato,
me spiace, ma devo famme er mazzo!”
Je dico serio ma appena sussurato,
che non vojo mica esse preso pe’ pazzo.

“Ammazza che tristezza”, dice la farfalla sconsolata,
“che me fate voi umani.
Cor miraggio de la vita agiata,
alle cose belle dite “Va beh, a domani!”

Prendi me, che sò nata da manco vent’ore,
e che da vive me ne rimangono sì e no quattro,
nun passo mica la giornata sempre a còre,
ar massimo svolazzo ìn facci a ‘n gatto!

Pè tutto er giorno pijo le cose come vengono,
volo contro er sole e nun ritorno più,
sò cose che poi dentro te rimangono,
che aspetti a fallo pure tu?”

E mò, che sò quasi arivato in ufficio,
penso che la farfalla c’avesse assai ragione.
Che a continuà così, er mejo auspicio,
è quello de finì come ‘n cojone.

Se penso ar sole mio, alla mia stella,
me viè ‘na gran voja de spiccà er volo,
perché ‘sta vita qui nun sempre è bella,
ma armeno nun la passo tutto solo.

E allora Amore, Amore mio speciale,
famo come ha detto la farfalla?
Alla fine nun ce sta niente de male,
a rischiasse quarche cosa, e pure a pagalla.

Adesso sono pronto, sò sicuro,
cò te accanto me sento quasi saggio,
che nella vita sì, ce vòle culo,
ma pure tanto amore, e un poco de coraggio.