La Giannella

“Sai a Roma, quando tira vento, o quando c’è corrente in casa, si dice che

– Tira ‘na Gianna!

o

– Ammazza che Giannella che tira.

Se cerchi l’origine, ovviamente non è chiara: dicono fosse una popolana che portava il pane fresco in giro così velocemente da far vento. Altri lo associano a un personaggio della commedia dell’arte, Gianni.
Fatto sta che ho notato, uscendomene ogni tanto con i miei colleghi non romani, che quando tira vento nessuno dice che tira la Gianna.

Stammattina, ma tipo un’ora fa eh, mi son tirato su dal letto, ho alzato la tapparella e ho sentito subito ‘na bella giannella. E li ho realizzato.
In portoghese, janela, siginifica finestra.
Un’illuminazione.
Cercando, pare pure che possa esserci un collegamento. Come quando ho scoperto che fare il portoghese, in realtà, è una cosa prettamente romana: intorno al 1700, in occasione di uno spettacolo teatrale, l’ambasciatore portoghese a Roma invitò i suoi connazionali ad entrare gratuitamente. Bastava dichiarare la propria nazionalità all’entrata.
Ve la immaginate, una cosa del genere a Roma?
In 10 minuti si presentarono centinaia di romani che dichiaravano la loro generazionale provenienza dal Portogallo. “Facevano i portoghesi” per entrare gratis, i miei avi.

Va beh, tolta ora la parte Alessandro Barbero di questa cosa, il mio era solo uno spunto per raccontarti che, appena aperta la finestra, ho rivisto la ragazza bella in salopette.
Questa volta era seduta per terra, in quello che credo sia il salotto, proprio di fronte alla mia janela. Dai movimenti, sembrava stesse grattando via qualcosa dal pavimento. Ho immaginato che si sia appena trasferita, intenta a crearsi l’ambiente perfetto, l’angolo giusto, a togliere la macchia che chissà quale precedente coinquilino ha creato e chissà quanti altri hanno ignorato nel frattempo.
Nessuna salopette, oggi, anche se stando seduta in terra il suo balcone copriva fino al collo scoperto, quindi per certo non lo so. Aveva i capelli raccolti e, ancora, non sono riuscito a vederla in faccia. Però lo so che è bella, ecco.

Tutto questo ovviamente è successo in pochissimi secondi, non è che mi son messo lì a spiarla tipo maniaco eh. È durato il tempo di sentirmi arriva ‘na gianna importante addosso, il tempo di socchiudere di nuovo la janela, sedermi al PC e avere un flash di due giorni fa, quando la gianna l’ha presa in pieno ed era coperta di pelle d’oca.

Non mi scorderò mai il suo braccio coperto di brividi. Ce l’avevo davanti, seduto sullo scalone con te in piedi.
Non l’avevo mai vista così piccola.
Ho avuto paura di romperla, quando l’ho fatta poggiare su di me e l’ho stretta un po’.
Non ho pensato a niente, per tutto il tempo, che non fosse trasmetterle un po’ di calore.
Sono stati secondi infiniti in cui ho provato tutte le sensazioni del mondo, compreso il vuoto assoluto.
Non volevo dire nulla, solo farle capire, per una volta dopo tanto tempo.
Non so se ci sono riuscito.
Spero solo di averla aiutata a socchiudere ancora un poco quella janela, lì dentro, che aveva comincato a far alzare una giannella non indifferente.
Non lo so più, il mio ruolo in questa situazione.
Probabilmente non ce l’ho, ed è meglio così.

So solo che sono un essere umano, che i lutti colpiscono anche me, che quando se ne va una persona per chi è coinvolto direttamente non devi far altro che ricordarle che, per fortuna / purtroppo, ce ne sono tante altre pronte a dare anche solo un abbraccio.
Non sono nessuno, ecco, ma so come stringere qualcuno per far sentire che qualcosa ci sarà sempre.

Lo sai, a ‘ste cose non ci credo, ma penso che da lassù ogni tanto qualcuno uno sguardo di sotto lo butta. E vede noi che andiamo avanti, con le nostre macchie da pulire sui pavimenti e dai nostri cuori. Ci vede, che proviamo a fare cose nonostante tutto. Lo sanno, lassù, lo sanno bene che vita del cazzo c’è da queste parti, e sanno benissimo quanto sia difficile ogni giorno.
Io so che lassù adesso c’è qualcuno che sta seduto su una sedia comoda di Ikea, con gli occhietti socchiusi a controllare tutta ‘sta vita che c’è in giro, a tirar giù due caramelle a chi ne vuole, e a scherzare sul fatto che sono celiaco e che tutta la mia pasta se l’è già mangiata lui.

E spero che, quando tira la gianna brutta, socchiuda un po’ un nuvola per far passare meno freddo.”

Dov’eri quando?

“Dov’ero quando è scattata la pandemia?
Questa sarà una di quelle domande tipo

– Dov’eri l’undici Settembre?
– Dov’eri quando c’è stato il terremoto in Indonesia?
– Dov’eri al G8?

(io, rispettivamente, stavo:
giocando alla play col mio migliore amico
festeggiando il compleanno della mia migliore amica
rosicando da solo a casa, davanti alla TV, in tutta l’impotenza dei miei 16 anni)

In ogni caso, dov’eri durante la quarantena?
Io personalmente ne ho sentite di ogni.

Ho sentito di gente che si è lasciata, chi è rimasto bloccato in Italia, chi ha approfittato per farsi due mesi di vacanza in giro, chi ha trovato lavoretti provvisori, chi ha perso tutto.

Eppure, allo stesso tempo, c’è gente che non sapeva dove si trovasse.
Cioè, era chiaro tutto: il luogo, chi c’era intorno, le cose da fare, i movimenti, le parole da dire. Però allo stesso tempo non sapeva dove fosse. E lo shock della pandemia c’entra poco eh.
Gente con, evidentemente, dei pregressi di dubbi e domande son completamente andati fuori giri.

Io, che lo so dove sto e dove voglio stare, mi ricordo tutto.
Quello che ho fatto e visto in quei due mesi l’ho registrato, l’ho messo a confronto col prima e mi son trovato spiazzato quando, col dopo, non aveva nulla a che fare.
Io, che non studiavo per il liceo figurati se ho fatto l’università, l’ho trovato un po’ come prepararsi per un esame: hai studiato per cinque anni, a ridosso dell’esame ti sei incaponito, incazzato, hai pensato di mollare tutto, poi ti fai l’ultima chiusa di due mesi, capisci che vada come vada sicuro lo passi, e poi all’ultimo giorno non solo te l’annullano, ma ti bocciano pure, senza manco avere modo di confrontarti.
Se poi vai a tirare due bombe carta davanti alla facoltà, chi potrebbe dirti nulla?

Delle bombe poi te ne parlerò, tranquilla, ma ancora non è il momento.

Insomma, dov’ero durante la quarantena?
Ero a sperare senza grosse speranze che qualcosa cambiasse.
Ero a guardare il mondo da una finestra, a lasciar andar via le lacrime senza farmi sentire mentre The Tallest Man on Earth cantava che l’amore è tutto, osservavo e vedevo il bello, ma anche quanto fosse esaurito tutto il contesto che il bello lo eleva. Ero a realizzare che idealizzare qualcosa, o qualcuno, spesso porta alla caduta dei miti.
Ero in silenzio a guardare, e quello che ho visto mi è piaciuto al punto che ero pronto a lasciarlo sotto una campana di cristallo tra mascherine, tamponi e morti.
Ma il cristallo, per quanto suoni bene, si rompe troppo facilmente.

Meglio la botte de ferro, ecco.”

Previously on Lost

“Svegliarsi così non è proprio il massimo.
Ricordi che ti avevo detto che ho ripreso a sognare?
Ecco, stanotte, dopo essere tornato martoriato da una giornata di lavoro, sono crollato e ho fatto un sogno di merda.
Ero in un locale,  l’unico seduto in mezzo a tutta gente in piedi. Musica alta, luci sul giallo, spalle di tutti addosso. Il tipo mi si avvicina e comincia a dire cose tipo

– Ah ma sei tu? Sei tu, giusto? Ehi tesoro, ehi! Vieni qui, guarda chi c’è!

E lo dice quasi ridendo, a prendermi per il culo.
Lei appare da dietro le mi spalle, i capelli le coprono il volto tipo Cugino Itt della Famiglia Adams. Forse aveva anche degli occhiali, proprio come lui. Insomma lei arriva e mi passa davanti defilata, senza girarsi a guardarmi, con lui che guardandomi e ridendo le mette una mano sulla spalla per accompagnarla via da me.

Ora, se vado da uno bravo, che potrebbe dirimi di ‘sto sogno?

Bah, non voglio manco pensarci.
Mi son svegliato allo stesso modo di come mi sono addormentato: stanco, col bruciore di stomaco e la voglia di essere ovunque tranne che qui. A casa eh, e non per la casa in sé, ma per essere oltre delle mura, con un po’ di spazio intorno, a lasciar liberi i pensieri.

Comunque, avevo bisogno di parlare oggi.
Il cielo fuori non si fa capire, fa correre nuvole grosse come pensieri brutti ma poi ogni tanto apre, poi sputa un po’ di vento freddo che paradossalmente mi scalda il cuore.
Una ragazza carinissima si è appena affacciata alla finestra qui davanti, al piano sopra alla signora che tiene i pappagalli in una stanza. Non te l’avevo detta questa?
In pratica c’è questa signorona che ha tutto un piano di casa, e in una stanza, proprio sotto alla ragazza carinissima, ha enormi gabbie di pappagalli che però son liberi di volare in giro. Son pure grossi tra l’altro, belle bestione che girano di continuo. La signora ha anche un gatto rosso gigantesco che non credo sia ammesso nella stanza dei pappagalli, e che infatti se ne sta tutto il tempo sul tavolo a farsi il bidet.

Insomma la ragazza carina è davvero carina: mi son girato mentre era affacciata al balcone, vesita di salopette e maglietta bianca, coi capelli corti e gli occhi grandi. Abbiamo incrociato lo sguardo, che ovviamente io ho distolto subito, mai sia.

La stanza è un casino ma è uno di quei casini in cui ti trovi a tuo agio, tra calzini depressi e scarpe spaiate.  Sto seduto sul ciglio del letto, le bootarelle d’ansia mi fanno avere l’impressione di stare in macchina quando prendi quei saliscendi velocissimi, e lo stomaco rimane senza gravità per quel secondo di ansia mista a paura. È strano eh, ma accettabile. Almeno è qualcosa.

Qualcosa nel senso di fisico, di provare qualcosa, che è quello che poi spinge gli altri ad allontanarsi no? La voglia di provare qualcosa di diverso, quando eri troppo spaventato da te stesso e del tuo rimanere uguale. Son percorsi che uno fa da solo, ed è giusto, ma incolpando l’altro ci si pulisce la coscienza troppo facilmente. Si dorme bene, si esce con nuovi amici, si pensa alle mille cose da fare che prima sembravano impossibili. Ma invece di guardarsi dentro e ammettere che era una cosa che si sarebbe potuta fare anche prima, si scarica sull’altro per sentirsi meglio con sé stessi, per non farsi domande, per avere solo risposte che ci piacciono. Scavarsi dentro è una cosa difficile, sopratutto quando scavando con la pala senti il rumore di qualcosa e scopri che è la tua inadeguatezza, il tuo non saper stare al mondo che ti porta a fare cose giuste per te.

Ma va bene così: ogni uomo (donna, bambino) è un’isola e decide chi e chi non farci sbarcare sopra. Si decide autonomamente se si vuole stare disabitati, o se si vuole qualcuno a coltivarne le risorse.

Oppure, come in questo caso, per diventare un porto di mare senza soluzione di continuità, in cui basta che qualcuno sbarchi, lasci qualcosa e se ne vada di nuovo. Perché poi soli, come si dovrebbe stare, non si vuol stare mai, soprattutto se sei l’isola di Lost dove non ci si capisce un cazzo, e chi arriva se ne vuole scappare dopo due giorni.”

La Morale

CR

“Mi chiedi dove sta la morale, in tutto ciò?
Dipende che intendi, per morale.
E poi dai, la morale alla fine delle storie è una cazzata. Son lineeguida, ma uno può anche non rispettarle. Magari vai fuori binario ma non ci sarà mai nessuno a dirti

– Eh però Cappuccetto Rosso finisce così per un motivo no?

Sì, perché la madre manda una ragazzina di 10 anni nel bosco vestita di un solo trench, per farsi i chilometri per andare dalla nonna. La morale non dovrebbe essere che non devi fidarti degli sconosciuti, ma che certe persone non dovrebbero fare figli.

Quindi la morale, qui, manco so se c’è.
Che poi appunto, quale?
Perché qua non c’è manco quel tipo di morale, non c’è etica, non c’è manco proprio il rispetto del prossimo su cui uno potrebbe basare i suoi valori e costruirci qualcosa.
Qui la morale non c’è, punto.

Qui c’è solo confusione, istinto, una serie di cose che invece di fare somma diventano lista di accuse da spuntare: tu sei così, tu cosà, non possiamo fare questo o quello, dovresti fare quell’altro. Non c’è una serie di più sulla destra né un uguale alla fine. E se non sai il risultato, non puoi nemmeno capire le cifre prima.

La morale mi chiedi.
Me fai ride.

Qua c’è solo cattiveria, orgoglio, codardia.
C’è l’essere convinti di essere sopra a tutto, senza essersi mai fermati un secondo a guardarsi davvero dentro. Oppure è stato fatto e quello che si è visto ci fa schifo, perché per anni si era convinti di essere in un modo e invece, guarda un po’, sei fatta in un altro. Sei una persona mediocre che vive una vita mediocre e trasforma il suo disagio con se stessa in problemi da riversare sull’altro.

Ecco guarda, se proprio ci dev’essere la morale, facciamo sia questa:

mai, mai, mai pensare di poter salvare qualcuno.
Non siamo pompieri né infermieri, non lavoriamo sulle ONG, e non sappiamo nemmeno come salvare noi stessi. Quindi la morale, o il consiglio, chiamalo come cazzo te pare, è mai essere bastone di qualcuno che invece sa camminare benissimo.
Perché alla fine pensi di essere zoppo tu, mentre l’altro comincia a correre fortissimo.”

Una Gran Rottura

“Ma mi spieghi come sia possibile non riuscire più a comunicare con una persona così, de botto, senza senso?
Sbaglio, o c’è ancora il principio di azione – reazione nel mondo? Roba di dinamica, se il 4 in scienze alle superiori non mi tradisce. Roba che non è che sparisce così, come un pezzo di cartina a cui dai fuoco nel posacenere. Dico, se a un certo punto c’è una reazione, da qualche parte ci dev’esser stata pure l’azione no?
E allora come la mettiamo se ‘sta reazione nasce dal nulla?
Come ci poniamo di fronte al fatto che a un certo punto uno preferisce metter su la peggior faccia da cazzo che si ritrova, che anzi forse non sapeva manco di avere, e reagire così, senza un’azione precedente?
Mi spiego.

Se io ti dico che ti voglio bene, ti aspetti da me che mi comporti di conseguenza. Potrei essere duro a volte, ma la base per me rimarrà sempre il volerti bene.
Se ti dico che me stai sur cazzo, di certo non mi vieni a chiedere di andare a cena insieme.
Se ti dico, mentre sei sull’uscio intento ad andrtene e non tornare più, che magari potremmo riprovarci dopo mesi di estenuanti ricerche della formula perfetta per rimanere insieme e tu mi dici

“oh, sto con la valigia in mano, l’Uber di sotto e dopo due mesi di quarantena insieme in cui pareva che basta fine kaput adesso potrei essere un poco confuso

se poi ci rivediamo dopo, chessò, dieci giorni, pure se me può rode il culo a manetta. io proverei capire. Farei domande. Proverei a dare risposte.

Giusto?
Giusto?

E invece ti lascio lì, con le tue domande, con te che immagini ancora la scena davanti alla porta valigia / zaino / monitor di lavoro munito per trasferirti (per la quarta fottuta volta in sei mesi), ti lascio in mezzo a una strada e penso pure che sei stronzo, perché per me sei tu che non vuoi parlare quando non realizzo che, magari, le cose da dire le ho io.

Ecco, come ci rimarresti?
Considerando che sai che ti voglio bene e, almeno all’apparenza, non mi stai sul cazzo, ci rimarresti di merda no?
Beh perché io sì cazzo.
Soprattutto se insieme facciamo quasi 70 anni di cui cinque passati sulla stessa linea spazio-temporale. E funzionava eh.
Che io lo capisco che poi nascano i problemi, tipo che non ci si inizi a conmprendere più così bene come prima. Cioè posso capirlo, perché magari non c’ero mai passato ma a 35 anni le storie degli altri le hai sentite, non sei stupido e nemmeno così tanto innamorato in modo idiota da pretendere che tutto fili liscio per sempre.
I problemi però si affrontano, se uno lo vuole.
Se uno si vuole bene davvero. E non intendo reciprocamente eh, volemose bene.
Dico proprio volerti bene tu, a te stesso medesimo, perché altrimenti vuole dire che uno in quei problemi ci sguazza, che mantenere tutto in uno stato di sospensione, di incertezza, di indecisione è la pozza sporca in cui ti senti a tuo agio.
Cioè. diventa la scena del cavallo ne La Storia Infinita, solo che il cavallo non vuole essere salvato e tu comunque ci provi lo stesso, lui rimane lì, tu ti disperi, lui rimane lì.
Tu provi a incitarlo, e lui rimane lì, anche perché è un cazzo di cavallo e quindi non è che comprenda benissimo quello che dici, soprattutto se lui in quella guazza di domande, dubbi, orgoglio ci sta bene.
Ecco, a una certa ti ritrovi a stare con un cavallo, si potrebbe dire. Tu sarai pure capace di sussurargli le cose, ma se quello vuole prendere e partire per le praterie non puoi farci nulla.

Che poi stai lì e investi tempo, energie, sentimenti che finiscono tutti dentro un calderone delle cose perse, a bruciare con aggiunta di bile e delusione.
Ti ritrovi solo, di nuovo, a girarti nel letto manco fossi Neo che evita le pallottole, a pensare e pensare e riempire quei vuoti di informazioni come puoi, che di solito è male con pensieri demmerda che poi no, come diceva nonna, “a pensà male”.

Insomma va beh, lo so che stai per dirmi.
Ci vuole tempo.
Tempo al tempo.
Il tempo è denaro.

Io lo so, avevo iniziato a contare già sei mesi fa.
E non ho problemi a ricominciare a contare.

Però certo che tutta ‘sta storia, è una gran rottura.”