Cinque Cose Positive della Celiachia

via @GirlsWithGluten
via GirlsWithGluten

Sono celiaco da sempre.
E se mentre, da piccolo, mangiare poteva davvero essere un problema, adesso ci sono centinaia di soluzioni.
Questo post è dedicato a chi lo ha scoperto da poco, si lamenta, sgarra la dieta e poi sta male.
Vi assicuro che essere celiaci, nel 2016, non è più questo dramma come fossimo nei ’90, perché:

Mangi prima

Anche se ora, con una maggiore offerta di prodotti, i tempi di cottura -soprattutto della pasta- si cominciano ad avvicinare a quelli standard, generalmente per quella senza glutine sono molto bassi. Roba sotto ai dieci minuti.
Mi ricordo di decine e decine di pranzi in famiglia, le cene durante le feste, insomma ogni volta che c’era da cucinare «separato» il mio piatto di pasta fumante arrivava prima di tutti, seguito dal classico
«Mangia subito che già sta diventando un colla!».
Questo, da piccolo, mi permetteva di mangiare e correre a giocare mentre tutti stavano a metà piatto.
Da adulto, uguale.

Mangi di Più

Perché magari come prima o seconda portata c’è qualcosa che non puoi mangiare, e quindi si carica il piatto alternativo: etti ed etti di pasta, tripla razione di fettine, abbondanti scodelle di patate al forno.
Fin da bambino ho sempre, sempre sperato che ci fosse un piatto che non potevo mangiare, per potermi ingozzare dell’altro.

Mangi gratis

O almeno, a spese vostre (risata satanica e tuono in sottofondo).
Sì perché l’Italia è l’unico paese dove puoi prendere i prodotti senza glutine con le ricette (o i buoni, o le impegnative, chiamatele come volete).
Certo, ci sarebbe da discutere sul perché gli uomini hanno 140€ al mese, e le donne 99€, ma sinceramente me ne sbatto e mi mangio l’infinito.
Ne approfitto, perché con questi chiari di luna non si sa mai decidano di toglierle, e allora lì andremo tutti a chiedere brioche sglutinate sotto i palazzi del potere.

Ci sono posti “solo” per te

Grazie anche alla «moda» del senza glutine, in giro hanno aperto moltissimi posti dedicati. Certo, bisogna stare attenti come se si camminasse su un campo di grano, perché la «moda» porta domanda che genera offerta, e spesso chi ti propone alimenti senza glutine, e fino al giorno prima giocava a palle di farina nel locale, non è proprio attento alle procedure.
Offrire cibo senza glutine è un impegno molto grande da prendersi, perché ne va della salute e della fiducia del celiaco, non solo in quel posto dove si è sentito male, ma anche negli altri. Ricordo che da piccolo mangiai un piccolo dolce sul quale assicurarono mia nonna che fosse assolutamente privo di glutine, anche da contatto. Stetti così male che non mangiai dolci per tantissimo tempo. Tipo tre giorni.
Un trauma.
Quel “solo” tra parentesi, in questo punto, è per farvi capire che non per niente “solo” per celiaci ma anzi, consiglio ai non di andarci e provare. per credere
(se siete di Roma -ma anche no perché volendo spediscono in tutta Italia- vi consiglio senza timore «Celiachiamo». Fornitissimo di prodotti mutuabili, con banco del fresco sempre pieno di splendore e gestito da ragazzi competenti e molto disponibili. Il mio punto di riferimento è a Magliana, ma sono presenti anche a Tiburtina e Cipro).

Ti chiedono sempre se hai ancora fame (e ovviamente dici di sì)

Una delle primissime volte che andai a pranzo da una mia ex, la madre fece la pasta fresca senza glutine, per tutti. Buonissima, davvero eccezionale.
Dopo, mentre mi godevo la pancia piena, tutti gli altri assaltarono il frigorifero perché devastati dalla fame.
Perché effettivamente la maggior parte degli alimenti per celiaci sono facilissimi da digerire, che quasi ti sembra di non aver mangiato, specialmente se non sei celiaco.
Quindi la mia vita è costellata da domande tipo «sicuro di stare bene? hai ancora fame? vuoi un dolcetto per chiudere?».
Ovviamente, come il giudice di un talent show, per me sono sempre tre sì.

Insomma, la celiachia non è più la brutta bestia 30 anni fa.
Certo, è una cosa che bisogna imparare a gestire e controllare, ed anche se si è «sensibili» al glutine non è che si possa sgarrare perché tanto «non sono celiaco».
Principalmente è questo, che mi fa imbestialire dei nuovi celiaci: volerne i «privilegi» evitandone le rogne.
No, mi spiace.
Guardatela sotto i punti di vista lì sopra, provateli, e vedrete che seguendo una dieta corretta, non avrete proprio nulla di che lamentarvi.

Dall’Alto di un Cazzo

Hitler

Un sacco (ma non troppo) di tempo fa, stavo proprio così.
Ché io ho avuto sempre un problema: la sensibilità.Magari per una donna è normale, esserlo un poco di più delle altre.
Ma per i maschietti, già esserlo e basta, è una dannazione.
Piango per le pubblicità.
Mi emoziono quando un pubblico, in tv o per strada o quelle poche volte che vado a teatro, applaude. E mi emoziono nel vedere chi li riceve, gli applausi.
Ho pianto l’altra sera quando hanno letto un mio pezzo, ed uno sulle Fosse Ardeatine.
E non è solo il pianto che mi frega, ma pure l’empatia.
‘sti cazzo di neuroni specchio.

E quindi, se sei un maschietto che piange spesso e vorrebbe abbracciare ogni barbone che incontra per strada, stare in mezzo ad altri maschietti non è facilissimo.
Non ci arrivano. Speri ti chiedano, ma non lo fanno. Speri capiscano, ma niente.
E quando stavo proprio male male, un sacco (ma non troppo) di tempo fa, ancor prima di aspettare che non capissero, li ho allontanati. Ero furioso. Nessuno capiva.
Nessuno poteva capire.

Però ho rischiato di perderli.

Sì è vero, gli amici (se sono amici), non se ne vanno.
Ma pure qualche vecchia conoscenza di Hitler, quando ha cominciato a capire l’antifona, se ne sarà andato.

– Io avere intenzione di coztruire campi concentramento, ja.

– Adolf, non mi zembra crante idea eh. Non puoi tu continuare a fare artizta di quadri?

– Ma zarà bellizzimo! Facciamo stazioni ja, e chiamo Bayern per gaz ja, e pozziamo fare di ezperimenti!

– Ehm, Adolf, vado a comprare le zigaretten ja.

Nessuno capiva il povero Adolf.

Io, dopo aver fatto mille casini e impicci e cose che, va beh, lasciam perdere, mi sono guardato allo specchio e mi sono fatto un po’ di domande: perché sono triste? è qualcosa che possono risolvere gli altri? che posso fare, io, per non esserlo più e senza l’aiuto di nessuno?

E mille altre, io che di domande non me ne son mai fatte.

Ho cominciato a dubitare di me, razionalmente, in modo ordinato, non abbandonandomi alla solita “la vita è ‘nammerda”.
Ché per quanto l’ex è stata una stronza, per quanto quella dopo peggio, nonostante un padre assente ed una madre e fratello lontani, il lavoro che non c’era e mille altre sfumature, alla fine il problema ero (sono) io.

E da quando l’ho capito, non ho smesso comunque di questionarmi. Mai.

Anche ora, che ho la fortuna di vedere dei miei lavori apprezzati, ora che ho un lavoro, ora che ho capito davvero che persona è mio padre e quanto alla fine mia madre e mio fratello mi siano comunque vicini, ora che sì la mia ex è stata stronza ma ora ci facciam gli aperitivi che pure io non son stato un santo (l’altra rimane stronza), soprattutto ora, che ho la fortuna di avere una splendida persona che cammina accanto a me –e vada come vada- ecco, proprio ora non smetto di chiedermi.

Di paragonarmi al me stesso di anche solo un anno fa.
Di confrontare le situazioni presenti con quelle passate.
Che alla fine son le sfumature, i dettagli, a far la differenza, il resto è sempre lo stesso film.

Non volevo darti consigli.

Ché ho le scarpe zuppe, mi rode il culo che sì il lavoro ma quando hai un contratto spesso si trasforma in ricatto, che ho 13€ da qui al prossimo stipendio, che vorrei pure io il sole eh, e quindi son proprio l’ultimo a poter (dover) dare consigli.
Però continuo a chiedermi, chiedermi e chiedermi.

Magari le risposte son la metà, ma sono sicuramente il triplo di un anno fa.

Ti abbraccio forte.

Qui C’è Aria Di Cambiamento.. Oppure Qualcuno Ha Scorreggiato.

Quello sono io l'altro giorno.. no scherzo, non ho la patente.
Quello sono io l’altro giorno.. no scherzo, non ho la patente.

Il Nano di là strilla hip hop da sotto la doccia, per poi rimanere in silenzio. E poi ricominciare.
Il Don deve ancora rientrare, e mi aspetto di sentire il rumore della moto accesa che arriva piano, aspetta che il cancello si apra e poi scende giù per infilarsi nello spiazzo dei biruote tra cui langue la mia bici.

Io sto qui a scrivere con il loro computer che il mio è a casa nuova.
Esatto, casa nuova.
Io, Jacopo, sto per andare a vivere da solo.
Cioè, con un coinquilino. Ma io proprio son da solo, io e lui non ci conosciamo (ma son sicuro ci si riuscirà presto) ed io vado proprio per conto mio.
Per conti miei.

Eh. I soldi.
Oggi ho avuto una discussione con una cliente, vi mail. In realtà si è conclusa oggi dopo quasi una settimana. In breve, aveva comprato un accendigas da due spicci che non funzionava. Capita, e ci siam comunque attivati per risolvere: ci riprendiamo il prodotto, te ne mandiamo un altro. Lei subito pesante ed accusatoria (rimborsi!! truffe!! contestazioni!!), noi tranquilli ma fermi.
Insomma, mandiamo tutto a nostre spese prima di far tornare il fallato, che però il marito butta via (!!!) e in più Venerdì lei dice che ci ridà i soldi, ed oggi invece no. Se ne sbatte. Parliamo di venti euro eh, non lingotti d’oro. Però checcazzo, esiste il principio. Ed io, per principio, tra le cose che le ho scritto le ho detto che

[…] Preferiamo perdere 20,40€ e non perché non ci cambiano la vita, anzi, di questi tempi sono più che utili per qualunque cosa. Preferiamo perderli perché, come dice quell’adagio, “La gente è così povera che tutto quello che ha sono i soldi”. E noi, onestamente, ci sentiamo molto più ricchi ora senza i Suoi soldi, che se fossero tornati indietro. […]

Ecco, i soldi son quella cosa che spacca le persone. E me ne sto accorgendo ora, adesso che l’odio colato corrode la mia pelle e mi sbriciola le ossa.
I soldi arrivano soli ma spesso vanno via con la nostra dignità, la nostra decenza, il nostro rispetto per il prossimo nostro più vicino. Così vicino che lo conosci da sempre.
E quando non li hai ti lasciano un vuoto che non sai come colmare.
Lo giustifichi con la lezione di vita, il “lo capirai solo poi che l’ho fatto per te“. Ma in realtà è solo come alzare il tappeto con una mano, guardarsi un paio di volta attorno e con la scopa metter tutto sotto, che poi si vedrà.
E si vedrà sì, e di certo non ora.

Ché io adesso ho una casa bella da vivermi, ho la mia vita da iniziare (di nuovo), ho gente da ringraziare per tempo ed a dovere ché non l’ho fatto abbastanza, e grazie a chi-bene-non-so al momento lo posso fare con una persona accanto che sembra voler stare pure a sentire le mie follie.

Ché a me le sue piacciono un sacco, e mi riempiono le giornate anche solo con un lungo silenzio.

Quindi ciao, io faccio fagotto, fagnove e se mi rode il culo pure fagdieci.

Il resto, si vedrà.

Improvvisate #8: Felicittà

A me Roma sta un sacco sul cazzo e ci son mille cose che brucerei manco fossi un nazista davanti ad una pila di libri.

Di certo non potrei fare l’Assessore al turismo, con questo tipo di slogan, però è vero che tutto è tranne che una città normale, funzionante ma soprattutto funzionale.
Roma è il più grosso esperimento sociale mai creato, volto a misurare il limite umano che una volta scavallato porta alla strage condominiale, all’investire un pedone o un ciclista e non fermarsi, fino al metterti le Hogan ed andare a Via del Corso.

Roma però ha il fascino dell’ex, di quella che sa di averti avuto, trattato ammerda ma che appena ti fa l’occhiolino, torni scusandoti e riempendoti gli occhi di lei.

Ti prepara tutto: ti scalda fra i palazzi e ti rinfresca aprendosi nelle piazze, mette il sole in modo tale da non fartelo riflettere dalle finestre diretto negli occhi ed arriva pure a farti andar bene una sosta interminabile ad una stazione della metro, ché così finisci di sentire “Rhapsody In Blue” e poi sei pronto a buttarti dentro e fuori i posti del centro con quella che a fine serata scoprirai essere stata un’ottima compagnia.

Roma la senti, anche quando passi si sfuggita a lato di piazza Navona lei è lì che ti che col suo vuoto ti spinge, ti da i colpetti sulla spalla a dirti girati, eddai girati!!.

E tu lo fai, e per un secondo la luce ed i profili ed il rumore di tacchi ed intorno l’improvviso silenzio di tutti e tutto, in una sincronia così paradossale da farti pensare a “The Truman Show” e pensi che ti prendano per il culo e invece no, è solo Roma che sta a fa la stupida da un po’ troppo però eccole lì, tra le nubi e lo smog, le stelle brillarelle.

In giro tutti attaccati ad uno schermo come falene, i posti son pieni di falene e le case son piene di falene, che la Germania ancora non lo sa ma sta per vincere mentre Roma lo sa già, di aver vinto.

Che si è costruita bene, l’altra sera, da brava scenografa di se stessa qual’è.
Grazie per lo spettacolo.

Me lo tengo stretto, so già che dovrò aspettare un po’ prima di vederti fare il bis.

La Fiamma

il calore della fiamma di candela

La ragazza schiude piano gli occhi quando sente scricchiolare la porta d’ingresso.
Il gelo interminabile di quei mesi entra di prepotenza nella casa già fredda ma non dentro di lei, ché il freddo non può scalfire il gelo che si porta dietro da una vita.
Quando la porta si richiude mette a fuoco la figura di uno sconosciuto che però le sembra di conoscere da sempre. Ha con sé una scatola di pietra, che sembra più pesante di quanto non lo sia in realtà.
La poggia delicatamente sul tavolo posto tra lui e la ragazza, uno dei pochi mobili presenti nella stanza oltre a due vecchie sedie, una credenza con un solo ripiano ed una poltrona senza braccioli dove è seduta lei.
Lo sconosciuto si toglie i guanti e la sciarpa, riponendoli con cura sullo schienale di una delle due sedie. Un piccolo sbuffo di polvere si alza sotto la pressione del tessuto e si dissolve andandosi a poggiare su altra polvere.
Si guardano, e sanno già che non dovranno nemmeno parlarsi. Si conoscono da così tanti secondi che sembrano già una vita, ma una vita senza ricordi. C’è solo la sensazione di aver già commesso uno splendido delitto, ma senza le prove.
Lo sconosciuto muove un passo verso la ragazza, che rimanendo seduta inarca di scatto la schiena all’indietro come un gatto sulle difensive.
Sgrana gli occhi e con un ghigno mostra i denti.
Lui muove lo stesso un altro passo, più lentamente, e sorride.
Prima di allontanarsi definitivamente dal tavolo prende di nuovo la scatola e la tiene su entrambe le mani, quasi volesse offrirla alla ragazza.
Lei rimane rigida, con le mani sulle ginocchia unite, composte.

Quando si trova ad un paio di passi da lei s’inginocchia: il pavimento freddo gli gela subito la pelle nonostante lo spessore dei pantaloni. Si guardano negli occhi, mentre le condense che escono dalle loro bocche ad ogni respiro si uniscono a mezz’aria, formando una sola unica nuvola di calore in quel cielo di freddo.
Tenendo la scatola di pietra con una mano, con l’altra ne apre il coperchio. Dallo spiraglio che si crea ne esce una luce forte, piena, ma soprattutto calda. Quando il coperchio rimane completamente sollevato dal volto –e dal corpo- della ragazza, scompare ogni minimo segnale di tensione, paura e pregiudizio.
Lo guarda, finalmente, negli occhi.
Rimangono così per mesi, a scambiarsi parole senza aprire bocca, a toccarsi senza muovere un muscolo, a creare ricordi da mettere in un angolo, per quando tornerà il freddo.

La Fiamma nella scatola arde per tutto il tempo, illumina e riscalda, avvolge e tranquillizza.

Poi un soffio di vento, una fessura tra le crepe di quella stanza vecchia, e tutto si spegne.
Con la Fiamma se ne va il caldo, la sicurezza, la voglia e la possibilità di guardarsi in faccia.

Il buio li avvolge entrambi.
Anche se lui non può vederla, sente lei inarcare di nuovo la schiena, con le vertebre che scricchiolano di tensione dopo mesi di rilassamento.
Sente di nuovo le palpebre sgranarsi ad aprire i suoi occhi, ed i denti si stringono in un lucido e vigile attacco di bruxismo.

Lo sconosciuto richiude la scatola ormai gelida, e quando si rialza le sue ginocchia quasi rimangono attaccate al pavimento.
Si fa leva con una mano sulla gamba, ed ogni suo singolo osso comincia a picchiare fortissimo ogni suo muscolo.
Ma non muove un’espressione che è una.

Tra sbuffi di condensa e sibili di vento, si gira e poggia di nuovo la scatola sul tavolo.
Dopo aver infilato i guanti, e mentre gira la sciarpa intorno al collo, sussurra

“Mi dispiace”

che quasi le lettere si formano a mezz’aria dalla nuvola di gelo.
Lei non dice nulla, muta come quando lui entrò mesi prima.

Lui si gira un’ultima volta prendendo la scatola, e lei è di nuovo lì, con le mani sulle ginocchia, composta, occhi di nuovo socchiusi.
A suo agio nel suo gelo.

La porta si richiude alle sue spalle.
Osserva la scatola, mentre una lacrima si ghiaccia all’angolo della bocca.
Mentre ne saggia la salinità, mette la mano guantata in tasca e ne tira fuori una piccola confezione di cartone. Dentro, un unico fiammifero.
Solleva la scatola e si curva su se stesso, per proteggerla dal vento. La apre, sfrega il cerino sul fondo ed una nuova fiamma si accende. Richiude subito il coperchio, ed alza la testa.
Di fronte a lui una sconfinata distesa bianca, piatta e gelida.

Guarda all’orizzonte, e comincia a cercare la prossima, vecchia casa.