Caro Giachetti, Ma Sei Serio?

La mia reazione quando ho letto il post di Giachetti.
La mia reazione quando ho letto il post di Giachetti.

Caro Roberto,

che tanto semo romani e se chiamamo subbito pe’ nnome, mica te offenni vè?

Ti scrivo in italiano, che è meglio e così ci capiscono più persone, ché io mica lo so se le persone hanno capito davvero che casino succede a Roma.
Roberto, io sono Romano come te. Ho vissuto per 29 anni a Ponte Galeria, a due passi da Malagrotta, quella che prima che intervenisse Marino era la discarica operativa più grande d’Europa. Poi è arrivato lui, ed ha detto basta all’ennesima proroga di sei mesi.
Ma non voglio star qui a farti la ramanzina su quello che Marino sì, e tutti i suoi predecessori no. Io voglio solo spiegarti una cosa, o almeno provarci.

Ieri tu, o il tuo Staff, avete pubblicato questa foto sulla tua pagine FB. Invito chi legge e che non sa di che parlo a cliccare, che io quello schifo sul mio blog non ce lo metto. In sintesi, hai usato quella tecnica che Alessandro Gilioli sul suo profilo ha perfettamente descritto come “testimonial alla rovescia“: e cioè, invece di pescare tra chi appoggia te preferisce prenderne due “brutti, sporchi e cattivi” che votano l’avversario.

La mia rezione quando ho letto il post di Gilioli.
La mia rezione quando ho letto il post di Gilioli.

Caro Roberto, tu ne hai presi due: Alemanno e Marino. Hai preso due loro frasi di (quasi) endorsement alla Raggi ed hai detto “oh, ‘sti due zozzoni la votano, mica vorrete abbassarvi al loro livello”.
Partiamo dal presupposto che su Alemanno manco ci soffermiamo.
Ma tu davvero hai paragonato lui a Marino? Cioè, il primo un fascista della peggio specie, un ladruncolo, un ex carcerato che è stato barricato cinque anni in Campidoglio e per cui non avete fatto NULLA per cacciarlo, mentre il secondo è un chirurgo di fama internazionale che ci si è messo di punta, contro tutti e contro di voi, il suo partito, che lo ha abbandonato prima, ridicolizzato ed accusato poi.

Roberto, io capisco che il vicolo è cieco. Game over, come diceva Renzi ai suoi schiavi quando ha dato il segnale di far cadere Marino. Al ballottaggio hai più speranze di incontrare Elvis andando a votare, che di vincere. E tutto quello che riesci a fare è solo spostare voti verso la Raggi. Magari pure il mio, chissà.

Caro Roberto, io come te sono romano e seppur la vita politica l’ho sfiorata, accarezzata, a volte solo guardata mentre dormiva, vivo a Roma e mi ci sposto, ci vivo, quando ho due soldi ci mangio pure. Il quotidiano è un inferno, la prospettiva a lungo termine un incubo.
E tutto quello che riuscite a fare da un anno a questa parte è solo ed esclusivamente consegnare la città ad altri, spostando l’attenzione e gettando sabbia negli occhi alla gente.
Io con Marino avevo visto un po’ più in là, nonostante gli scioperi bianchi ed i continui, giornalieri attacchi che arrivavano da tutte le parti. Avete massacrato un uomo e con lui i suoi elettori, ed altro non avete fatto che stuzzicare i nostri corpi con un bastone. Ci avete illuso di poter essere un partito lungimirante, e ci avete spezzato sogni e gambe nel giro di due anni.

Caro Roberto, ricordati che se ora sei lì, in un angolo, a prendere destri da tutti insultando la mamma della gente perché non sai dire altro, è anche colpa tua, tua e del tuo partito che ci ha costretto, tutti quanti, ad incazzarci più del dovuto, e a vergognarci quotidianamente per questa città che è di tutti, e non appartiene più a nessuno.

Caro Roberto, ti saluto, con l’augurio che da oggi al 19 i tuoi spot siano più corretti, mirati, che tu riesca a fare il miracolo anche solo per far rosicare i grillini. Ma fidati che al prossimo passo falso, avranno un voto in più che non hanno ricevuto al primo turno.

Hollyrome Party

"Ma cosa fa quel mentecatto?"
“Ma cosa fa quel mentecatto?”

Avete mai visto «Hollywood Party»? Spero di sì, cristo.
In pratica c’è Peter Sellers che interpreta un attore indiano, una comparsa in realtà, ed è la persona più impacciata che ci sia. All’inizio del film, interpreta il ruolo di questa specie di beduino che deve difendere il suo avamposto nel deserto. Diviso in più scene, si vede tutto il suo essere distratto, incapace ed egocentrico, suscitando comunque compassione ed allegria nello spettatore: non muore nonostante decine di colpi fucile ricevuti mentre avvisa con i suoi compagni la tromba, agonizzante ma vivo fino al ridicolo in cima ad una montagna; si fa beccare con un orologio da polso durante le riprese quando il film è ambientato a fine ‘800; e nella scena madre (e siamo solo al primo quarto d’ora del film) per allacciarsi il sandalo fa saltare in aria un intero castello, subito dopo l’avviso del regista che annunciava come la scena potesse essere girata una, ed una sola volta.
Il film poi prosegue con il party vero e proprio, dove Sellers viene invitato per errore.
Un capolavoro di comiche, in alcuni punti un film muto bellissimo.

Party3

Ecco, ci ho pensato oggi leggendo tutti ‘sti endorsement a Giachetti per il fatto delle Olimpiadi, o della crisi di nervi della Raggi sul referendum (!!!) per lo stadio.
Io penso che agli occhi degli altri, Roma risulta come Peter Sellers in «Hollywood Party»: appena ci danno il ciak per provare a fare qualcosa di concreto (la fine di Alemanno, Marino, la sua cacciata, un commissario che manco Basettoni, ora il primo turno, e mò il ballottaggio) l’attenzione si sposti sempre su altro.
Perché mentre si scannano su cinque cerchi ed un pallone, oggi non leggo loro dichiarazioni sul fatto che la metro passava con la stessa frequenza con cui Luca Giurato azzecca cinque frasi semplici di seguito. E sapete la causa? Pare abbiano sbagliato a montare le ruoete sui vagoni. Capite? Due linee e mezzo di metro (una Lione a caso ne ha quattro, e sei volte in meno gli abitanti di Roma), e questi sbagliano a montare le ruote.
Proprio come dover girare una scena di pochi secondi, e topparla clamorosamente tutte le volte. C’è sempre qualcosa di più piccolo e importante che ingigantiamo fino a saturarcene i coglioni per due settimane. Poi di nuovo via, un’altra scena brevissima che si protrae per giorni perché arriviamo sempre in ritardo, o perché ci squilla il cellulare durante le riprese.
Stiamo trasformando questa città in una tragedia dai mille atti, passando per una commedia da due soldi con un finale più che scontato.

If you know what I mean.
If you know what I mean.

“Any Day Now” è un Film Bellissimo

AnyDay

«Any Day Now» è un film bellissimo.
Arrivo con quattro anni di ritardo ma cazzo, la bellezza non ha tempo.

Un paio di sere fa io e Lei decidiamo il film da vedere su Netflix, dopo la solita buona mezz’ora passata a sfogliare la lista dei preferiti. Le due righe di plot le legge dopo tante altre due righe di plot, in terzultima riga, quasi alla fine, ma quelle due righe mi piacciono più delle alte e le chiedo se le va di vederlo.
Le va.
Stasera abbiamo pure la TV, prima volta dopo mesi che sto a casa nuova. Attacchiamo il pc, ci accoccoliamo con latte e mega plumcake e premo play.

Mi si para davanti la storia, ambientata a NYC negli anni ’70, di Rudy Donatello (un immenso, immenso Alan Cumming che conoscete sicuramente per aver interpretato Eli Gold in The Good Wife ma che ha fatto davvero tante altra cose) e di Paul Fliger (un insospettabile Garret Dillhaunt che è stato in mezzo a più serie TV di JJ Abrams). Il primo si esibisce al «Fabius», locale gay dove lui ed altre due drag queens cantano in playback sdolcinate canzoni d’amore. Il secondo è da poco un importante avvocato, che si è scoperto gay dopo un matrimonio fin troppo precoce.
Il terzo protagonista è Marco (interpretato dal bravissimo Isaac Leyva), un ragazzo affetto da sindrome di Down che vive con la madre nell’appartamento accanto a quello di Rudy. Lei, che qui interpreta la madre tossica ed usa al meretricio, è la stessa attrice chge faceva la prostituta drogata in The Shield. Per dire.
Insomma, per farla molto breve lei viene arrestata, Rudy si affeziona a Marco e trascina Paul in una faticosa battaglia per l’affidamento.

AnyDay2

Non vi dico nulla, ma sintetizzo il tutto con: coppia gay formata da una drag queen e da uno stimato avvocato tentano di adottare un ragazzo down. Negli anni ’70.
Si ride? Ovviamente no.
Cioè, anche, e pure parecchio in alcuni punti.
Ma di base non è una commedia, ecco.
Io e Lei abbiamo finito il film in silenzio, in lacrime, con un vuoto dentro che nemmeno una colata di cemento avrebbe riempito.

Ma non è tanto l’eccezionale interpretazione di tutti quanti (ma Cumming, ragazzi miei, che roba). Non è la fotografia semplice, non è nemmeno la colonna sonora che tra l’altro viene in qualche pezzo cantata, superbamente, dallo stesso Cumming.
No.
È la velocità.
Succedono cose.
Era da tanto che non vedevo un film che si può tranquillamente definire drammatico in cui le cose non rimangono sospese e silenziose per interi minuti, in cui non ci sono eterni sguardi muti e dove nessuno spacca cose mente grida con la musica alta in sottofondo.
In «Any Day Now» fin dall’inizio succedono cose tra i due protagonisti, a Marco, a tutti e tre, i personaggi satellite sono interessanti, approfonditi il giusto e parlano di cose utili alla trama, il ritmo insomma è incalzante.

«Any Day Now» è un film bello dall’inizio alla fine. Non una sbavatura, non un momento di imbarazzo, non una scena sprecata.
Se avete Netflix recuperatelo, se non lo avete fatevelo che tanto il primo mese è gratis, altrimenti compratelo/scaricatelo perché davvero, merita.

E ragazzi, che roba Cumming.

Rudy (Alan Cumming), Paul (Garret Dillahunt) and Marco (Isaac Leyva)

Cose Su Cui Impegnarsi Ora Che Di Caprio Ha Vinto L’Oscar

"Avrai pure vinto l'Oscar, ma la Winslet ancora non te la scopi."
“Avrai pure vinto l’Oscar, ma la Winslet ancora non te la scopi.”

Ora che Leonardo nostro ha vinto l’Oscar, possiamo concentrarci su altre opere rimaste incompiute, traguardi ancora non raggiunti, usanze da eliminare. Cose che hanno tutte le carte in regola per diventare i prossimi tormentoni da qui alla loro realizzazione.

Tipo:

– impedire ai vip di dare nomi del cazzo ai figli. Basta con Falchi, Civette, Oceani, Tettoniche a Zolle (nome composto). Da quel giorno sarà vietato dare nomi di merda alla propria prole, pena una pensione minima e la radiazione dall’albo delle celebrità;

– beccare quel coglione che ancora scrive “Lulic ’71” in giro per Roma, obbligandolo non solo a cancellare le scritte, ma a sostituirle con “M’illumino d’immenso”;

– eliminare l’adesivo “Vaticano” da sotto alla fermata di Lepanto sulla metro A di Roma. Perché non è vero che ferma a San Pietro. Quindi o fai la fermata alla Basilica, oppure rimane Lepanto e basta;

Che pecionata.
Che pecionata.

– far eliminare ‘sto cazzo di cetriolo da ogni cocktail che chiedi. Perdio, ma che è successo, c’è stata una sovapproduzione di ortaggi fallici che vi permette di metterlo pure nell’acqua? È esploso un Boeing pieno di semi di cetriolo sopra una vallata di merda di mucca?

“Ciao volevo una media chiara.”
“Con o senza cetriolo?”
“Dipende dove lo metti, pazza!”

– far fare un altro giretto a Padre Pio. Stavolta in piedi però, e che si muova con le sue gambe. Sennò di che miracoli parliamo?

– cominciare a poter chiamare le suore pinguini senza per questo essere giudicati come blasfemi;

– poter camminare sulle macchine che parcheggiano sulle strisce, o che ci frenano sopra mentre c’è il pedonale verde, ovviamente avendo sempre con sé delle comode scarpe da alpinista;

– poter tagliare la mano a chi viaggia senza biglietto. Su ogni mezzo pubblico di ogni regione;

– poter bannare dalla vita reale, per un periodo di trenta (30) giorni, chi pubblica bufale. Il ban va scontato dentro una stanza, nutriti di solo pesce, con tutto il repertorio video possibile di Piero&Alberto Angela che spiegano tutto. TUTTO;

– riuscire a riportare a casa i Marò, soprattutto oggi che abbiamo un giorno in più almeno per pensarli;

Via "I Marò e Altre Creature Leggendarie"
Via “I Marò e Altre Creature Leggendarie

– poter fare le linguacce ai non vedenti per strada, ed allo stesso tempo non farci brutta figura coi vedenti;

– che tutti i telecomandi, i mouse, le cloche del mondo siano ad immagine e somiglianza di un pene. Così, per ridere;

– che le tette siano riconosciute patrimonio dell’umanità.

Leo

Situs Inversus

photo Alex Baker - https://studiojoslizen.wordpress.com/
photo Alex Baker – https://studiojoslizen.wordpress.com/

Mi fissa inespressiva per un secondo, prima di cominciare a cadere all’indietro.
Un tonfo sordo, il rumore del bossolo che tintinna in terra va in sincrono con la testa che sbatte sul cemento nudo del capannone prima di fermarsi.
Il calore del proiettile brucia il foro di entrata nel petto, lasciando nell’aria una piccola nuvola di fumo ed un odore di pollo bruciato.
Nella mano stringe ancora la pistola, l’indice fermo sul grilletto.
Non doveva finire così.

“Siete così carini insieme”, ci dicevano i nostri rispettivi amici.
E lo eravamo, davvero.
Non abbiamo mai ostentato il nostro amore, ma lo abbiamo coltivato con cura e discrezione. Ci siamo presi le misure ed i tempi, andando in sincrono senza mai studiare davvero le mosse dell’altro.
Poi è iniziata la sua gelosia, il mio essere scostante, cose di cui si è discusso tante volte ma senza mai arrivare ad una vera soluzione.
Ho provato a lasciarla più di una volta, ma i suoi occhi pieni di lacrime e le sue scuse erano più forti di ogni resistenza.
“Cambierò”.
E si tornava a far l’amore, finendo con la mia testa sul suo petto dentro il quale non sembrava mai battere nulla. Era una cosa che le chiedevo da sempre.
“Se mi ami davvero, come mai non sento nulla lì dentro?”
“Sei strano”, mi diceva, “come puoi pensare che il mio cuore non batta?”.

Mentre ripenso a tutto questo lei si mette a sedere.
Sono pietrificato.
Infila la mano in tasca ed estrae il cellulare, sul quale digita poche parole. Poi lo fa scivolare sul pavimento, fino ai miei piedi. Lo fisso qualche secondo prima di raccoglierlo. Sul display, una pagina ferma ad una voce di Wikipedia: “Situs Inversus – Il situs inversus è una condizione congenita dove gli organi sono invertiti in modo speculare rispetto alla loro usuale posizione, che è detta invece..”.
Faccio giusto in tempo ad alzare lo sguardo, che si fissa sulla bocca della sua pistola davanti a me.
“Peccato. Ti amavo molto”.