Introduzione Retroattiva

Mi piacerebbe dare per scontato che tutti voi abbiate già sentito (parlare) delle miniature, ma di scontato ormai ci sono solamente le tariffe per i cellulari ed i prodotti di prima necessità alla Coop. Quindi se proprio non ci siete ancora arrivati, vi do un assaggio:

Senza dilungarmi troppo, ieri Gabriele e Silvia (le minature, se ancora non si è capito) si sono esibiti al Celacanto, piccolo grande centro di quella che tutti chiamano cittadinanza attiva, ma che lì si fa per davvero. Creato dall’associazione “Coppula Tisa” anni fa, il Celacanto ha cominciato a distinguersi dalla massa di associazioni più o meno attive sul territorio salentino. Territorio che sembra essere stato scoperto solo negli ultimi cinque anni, ma che ha più storia e tradizioni degli Stati Uniti d’America. Una terra amata ed allo stesso tempo presa di mira da speculazioni, palazzinari, gente che senza scrupoli devasta interi terreni con i purtroppo noti “ecomostri”, dalla casa costruita sulla scogliera al bar che per essere tirato su distrugge costa e spiaggia.
Antesignani nel campo, i soci di Coppula Tisa nel non troppo lontano 2005 acquistarono un orribile fabbricato abusivo mai terminato che deturpava da fin troppo tempo un tratto bellissimo di costa. Dopo averlo acquistato, beh.. lo hanno distrutto a colpi di ruspe e picconi. Un’azione, una di quelle vere in cui ci sporcano le mani, la fronte, in cui ci ferisce e si marchia il posto col sangue. Da lì, questo tipo di azione è stata ispirazione per tantissime altri “compra per distruggere” nell’ambito dell’abusivismo edilizio.
Gente col cuore, quella di Coppula Tisa.
Cuore e palle, lasciatemelo dire.

Azioni. Reazioni. Emozioni.
Azioni. Reazioni. Emozioni.

Oltre a questo e ad altre tantissime iniziative (laboratori di riuso e riciclo, falegnameria, detersivi e prodotti per la casa fai da te), una delle più belle è forse quella dell’ospitalità solidale. Esempio: se sei un musicista, cantante, artista di strada e vuoi esibirti o solo trovare un posto dove dormire, tu ci metti la tua arte, e loro l’ospitalità tutta salentina. Una camera, il cibo, ma soprattutto la compagnia ed i sorrisi, che di questi tempi sono più rari di un assessore che ci capisca qualcosa del suo lavoro.
Ma può capitare che tu non sappia suonare altro che un citofono, e che la tua arte di strada al massimo sia tenere la porta aperta alle signore. Ecco, anche in questo caso sei sempre loro ospite e tutto quello che devi fare è dare una mano a sistemare il posto. Dal mettere un paio di chiodi al dipingere, dal cucinare e scartavetrare un muro.

“Ma io sto in vacanza!!”

E allora vai a spendere un sacco di soldi per un posto affollato e che è tenuto come la stanza delle torture di Guantanamo.

(ok mi sono dilungato)

Insomma, ieri sera il mondo miniature e quello Coppula Tisa sono entrati in collisione, una splendida collisione.
Mi hanno chiesto di introdurli prima del concerto. Visto che non parlavo davanti a così tanta gente da quando mi sono dovuto giustificare per un arresto per atti osceni in luogo pubblico, mi sono un po’ emozionato.
Quello che è uscito fuori è stato:
“hghghghgh miniature ghghghhg orgoglioso ghhghghg grazie ghhghggh miniature!!”

Quello che avrei voluto dire, invece, è questo:
“Gabriele e Silvia, qui dietro a me, sono le miniature. Li ho conosciuti quasi due anni fa mentre passeggiavoa Piazza Navona con un’amica per Roma. Non so se, in un altro momento della mia vita, mi sarei fermato. E non per togliere qualcosa a loro, anzi. A fine serata vi sentirete più ricchi di ora, ne sono sicuro. Ma sapete quando “è il momento”? Ecco, quello lo era. Quel giorno di Ottobre col sole, il sorriso e la bellezza di quella mia amica che non vedevo da troppo tempo, la piazza piena al punto giusto. Insomma, era il momento.
E dopo un’intervista, dopo averli fatti conoscere in giro grazie alla rivista per cui collaboro, grazie alla loro disponibilità artistica ma soprattutto umana eccoli qui. Dopo avergli rotto le scatole per tutto questo tempo, avergli scroccato pranzi, passaggi e cd, è con un piacere che non so nemmeno descrivere in questo momento che vi presento due bravissimi artisti, due geniali musicisti ma, ecchecavolo lasciatemelo dire, due amici.

Le miniature.”

Ecco, vale sicuramente meno ora che il concerto è finito tra applausi, sorrisi e tanta ottima musica.
Ma credo valga e varrà per sempre come introduzione a due persone straordinarie, e che mi aiuterà a ricordare la serata di ieri come una delle più belle della mia vita.

Pillole Salentine #8 – Doppio Dosaggio

Dosaggio #1 – Sì e Non

La vedi la noia, il non saper cosa fare negli occhi della gente? La senti l’assenza di un odore nell’aria, che non sia quello della paura e del timore?
C’era un tempo in cui la voglia di fare qualunque cosa nasceva come nulla, momenti in cui ci si alzava e si facevano cose per ore, giorni. Che fosse aprire un’attività, sistemarsi una vecchia auto o falciare il giardino. Si faceva perché si poteva, e perché si aveva la voglia.
In anni come questi, invece, la voglia è annullata. C’è il dovere, la sensazione che anche prendere il caffè la mattina al bar sotto casa sia un atto dovuto, e non più perché è un momento di pausa. Che cazzo, si chiama “pausa caffè” in tutto il mondo, un motivo dovrà pur esserci.

Il non, il non come stile di vita, il non come prerogativa. Non distinguiamo più quando dire non perché è dovuto, e quando invece potremmo dire sì, o anche solo muovere su e giù la testa come quando da bambini volevamo convincere i nostri genitori a farci fare qualcosa che invece loro non. Non sappiamo più fare quel movimento quando un signore ci chiede due monete per un panino, “perché tanto non li usa per mangiare ma si va a fare il Campari”. La memoria sociale, quella che ti fa dire si e no, è cancellata. Ovunque è truffa, inganno e raggiro. Dietro ogni angolo c’è chi ci vuole fregare, chi non aspetta altro che un nostro sì per farcelo rimpiangere.

E ci dimentichiamo che invece, con un sì, ci ritroviamo più liberi di quanto non saremo mai. Quando ci dicono no spesso ci innervosiamo, ci agitiamo, un divieto o una negazione sono sempre e comunque una limitazione della nostra libertà. Dal voler pisciare in strada allo scrivere su un muro, dal “andiamo insieme” al “ne voglio mangiare un altro”: a nessuno dovrebbe essere detto di no (tranne a richieste di omicidi e furti, o comunque ad atti illegali in generale). Vuoi farlo? Fallo. Poi sono cazzi tuoi. Ma intanto fallo, perché è facendo cose che ci si fa esperienza.

“Sbagliando s’impara?”

Sì tu in prima fila, ma non proprio. Anche facendo le cose giuste s’impara. Che alla ruota ci siamo arrivati dopo un sacco di tentativi, ma anche dopo averla fatta tonda abbiam capito un bel po’ di cose.

Chiamatelo lasciarsi andare, ingenuità, poco giudizio.

Ma io sono dell’idea che un sì detto spesso faccia bene molto più di un no d’istinto ed innato. Un sì per quelle due monete, per quel panino al signore, fa comparire sorrisi che non ci ricordiamo più come son fatti.
Il no detto a priori, perché è meglio e toglie un sacco di problemi, è una cazzata.

Peggio.

È proprio dannoso, e solo per chi lo dice.
Dite più sì, motivate i vostri pochi no con ragioni vere ed ireemovibili.

Pensate, cazzo.

Dosaggio #2 – Stelle e Terrazzi

Poco più di un anno fa ero su questo stesso terrazzo, e per la prima volta in vita mia mi sono trovato a pregare. Non so come si fa, dicono che ognuno ha il modo suo.
Il mio fu rabbioso, di una rabbia genuina, pura ed istintiva.
Pregai semplicemente di non farmi portare via qualcuno, qualcuno a me troppo caro per vederlo andar via così presto. Mi stesi sul rialzo, un miccio
stretto tra le labbra e le mano dietro la testa. Che a leggere sopra, uno mica deve state per forza in ginocchio.
Guardavo le stelle, brillanti come non mai nel cielo di Luglio. Ma erano troppo luminose. Allora mi misi a guardare meglio, e ne trovai una dalla luce fioca, isolata.
Sembrava quasi il bambino che se ne sta in un angolo del parco giochi a guardare gli altri correre e cadere e rialzarsi e ridere.
La puntai e le diedi il suo nome, con la promessa di ritrovarci qui l’anno dopo.

Poco più di un anno dopo sono di nuovo su questo stesso terrazzo, e non sto pregando.
Il cielo è macchiato di nuvole, ma le stelle brillano ancora.
Lei però no.
Non ho un’ottima memoria, ma lei era lì. Ne sono sicuro come lo sono di tutte le mie insicurezze.
Lei non c’è, e questo mi conferma due cose.

La prima era quasi scontata, ma ora ne sono certo: le preghiere non si esaudiscono, perché non c’è nessuno a riceverle. È come voler mandare lettere con ricevente nel Medioevo.

La seconda è invece una realtà più dura,  e cioè che le promesse, anche quelle, non vanno a buon fine. E non parlo di quelle di routine su cui puoi sforare tipo “passo a prenderti alle otto” ed arrivi alle otto e dieci, oppure tipo “stasera ti faccio venire”.

Parlo di quelle grosse, quelle che una volta non mantenute fanno sparire le persone. Quelle reiterate nel tempo e che lì, sospese, rimangono.

Sono su questo terrazzo, poco più di un anno dopo.

E ancora fa un male cane.

Di Un Fratello

[questa bellissima foto è tutto merito e talento di Otty, di cui vi linko l’album della serata qui ed una altro breve quanto bellissimo omaggio ad Andrea, qui]

Sì, questo è un uomo.

Per un sacco di tempo io e lui ci siamo odiati. Picchiati, insultati, non ci parlavamo per giorni, e appena uno dei due si rivolgeva all’atro nel giro di cinque minuti si finiva con una rissa in cortile: calci, pugni, teste schiacciate contro le sbarre (quale ironia eh?) della finestra enorme della cucina e uno dei due che trascinava l’altro per i capelli.

Erano le elementari.

Poi, chissà come e perché, ti troverai a parlargli di me.. no scusate.. chissà come e perché è nata un’amicizia. Una di quelle che dopo vent’anni ti ritrovi ancora insieme, anche solo per una sigaretta.
In mezzo a quei venti anni, è successo davvero quello che può succedere in vent’anni: di tutto.

Scuole diverse, amicizie diverse, ma sempre quel filo che ti lega. Le passioni di uno contagiano l’altro, anche solo se per una sera dopo mesi, così tanti mesi che finiva per essere un anno e più. E proprio dopo il periodo più lungo in cui non ci si vedeva, quando mi ero trasferito a Lecce, ecco che inizia una quasi convivenza. Iniziano serate che diventano mattine, ore passate a bere e chiacchierare dove lavorava come ottimo cuoco, ho conosciuto degli ottimi pub e lui ha scoperto gli stand up comedian. E nonostante i nostri gusti musicali siano totalmente opposti -lui dj, produttore, amante della techno e di quelle che per me sono solo manopole, io che ascolto e basta, tutto tranne proprio la techno e “roba così”- siamo sempre riusciti a farci scoprire cose nuove che hanno influenzato le nostre playlist. Parliamoci chiaro, mi ha fatto conoscere i Bud Spencer Blues Explosion.. eccheccazzo.

E alla fine arriva la prova di maturità, quella lontananza forzata, quei mesi infiniti di attese e bestemmie, notte insonni e divani a metà. Poi ogni tanto una visita, all’inizio veloce il tempo di un abbraccio, poi piano piano i momenti diventano ore, sempre nella stessa stanza ma sempre con parole nuove, le solite cazzate e tante, grandi riflessioni.

Forse lui non lo sa ancora, perché codice maschile vuole che si tengano dentro le cose forti, ma da lui ho imparato tantissimo. Senza volerlo, sfogandosi, parlando e discutendo mi ha insegnato a prendere di petto le cose, mi ha fatto capire come reagire davanti a situazioni più grandi di te, lui che si è trovato di fronte ad una cosa enorme per chiunque.

E nonostante di momenti belli, in questi tre anni, ce ne sono comunque stati, la serata di Sabato chiude una parabola ascendente, e la chiude con quel sorriso che si è fatto strada a cazzotti nella tensione di una nuova prima volta, quel braccio alzato in aria, quella sigaretta spenta in bocca che può attendere prima di essere accesa, perché adesso entra la cassa.. ed è suono di una nuova rinascita.

Quel sorriso, quella felicità generata dall’angoscia di troppo tempo lontano dal mondo, queste cose sono l’esempio perfetto di come, davvero, si possa rinascere.

Bentornato fratello mio, mò sì che se divertimo.

Norway Road Trippin’ – Parte Due – La Schizofrenia

Di seguito, un chiaro esempio di schizofrenia da viaggio.
A voi.
Scrivere stando letteralmente tra i piedi della gente.
Prima settimana appena scoccata, direzione Rovaniemi.
Siamo appena ripartiti dal paradiso messo in terra -Svedese-. Appena arrivati abbiam pensato ad un’altra baraccopoli sul genere di quelle appena viste in zona Stoccolma e poco dopo: prato aperto, colonnine e poche roulotte/camper. Ma appena parlato con la ragazza alla reception, ed aver capito quindi che era davvero attrezzato per tutto, anche per darti un bellissimo ambiente. Un lago mozzafiato di fronte, pace, bagni e docce su tutti visto che puzzavamo come se avessimo passato gli ultimi due giorni nella Gora dell’eterno fetore.
Il tutto condito da un’ottima cena, una finta pescata al buio che proprio buio non è, con il sole che comunque più di tanto non scompare ed una luna piena da brividi alle spalle.
E siamo arrivati in quest’oasi dopo un giorno di viaggio da Stoccolma, in cui abbiamo passato due stanchi ma comunque pieni giorni di camminate, passeggiate, ponti e cuori sciolti negli occhi di quel dono chiamato femmina del nord europa.
Bela Stoccolma, movimentata nonostante lo scandire del tempo Scandinavo, fatto negozi chiusi presto e cene altrettanto pomeridiane. Belle le chiese, con i campanile che sembrano volersi sfidare tra loro per il più alto ed ornato, con le punte verdi rame e segnavento in ottone così chiaro da sembrare oro. Di sera poi ti trovi immerso in questi mille riflessi di sole sul mare, le finestre, le mille barche ormeggiate, quel dono chiamato femmina del nord europa -no non c’entra nulla, ma è difficile togliersele dalla testa-.
Insomma, un posto da vedere, come i mille che sfioro appena da questo finestrino che si affaccia su decine di laghi enormi, con sulla riva case bianche, rosse, blu tutte in legno e con la loro punta ordinata, rigorosamente bianca, sui tappetini elastici in praticamente ogni giardino, sulle poche poche macchine e sulle tante bici, su posti che definire “da cartolina” sarebbe riduttivo, quasi blasfemo. Che fa quasi paura a pensare di abitarci, passare dall’essere sempre e perennemente raggiungibili, in un mondo caotico e cattivo, ad uno in cui l’isolamento è all’ordine del giorno, ma in cui si respira, si vive, si pensa con calma, senza cellulari che squillano o notifiche che si sommano.
E si viaggia con il buon Cash in sottofondo, che con le sue parole spesso cupe un po’ contrasta con la tranquillità di quello che scorre dietro il mio finestrino.
E pensare che oggi è 12 Agosto, che ci sarebbe stato qualcosa da festeggiare, e che per la prima volta dopo anni sono lontano al freddo invece che a morirmi di caldo, non m’intristisce.
Anzi, che possa essere un nuovo inizio.
Dopo Capo Nord.
Questi posti ti aprono l’anima. Tu non sei nulla, noi non siamo nulla. Tutte le cose che facciamo tutti i giorni, che ci invorticano in una routine che non ci piace, lo sappiamo che non ci piace, ne siamo consapevoli. E non è solo l’aria di vacanza che respiro da un mese e poco più, non è l’atmosfera di nullafacenza che mi circonda che mi fa pensare questo. Sarà invece il libro di Fabio Volo che rileggo per la terza volta e che tutte le volte sembra inquadrare il momento che sto vivendo mentre scorro le pagine, e la cosa un po’ mi spaventa perché non capisco se sono cambiato o rimasto identico, in questi anni. Ma gli input arrivano, e come il protagonista del libro voglio dare una scossa alla mia vita, voglio ricostruirmi, e questi posti senza nulla ti danno l’idea che da costruire ci sia, e molto. Basta ritocchi, basta stuccare piccoli fori, c’è bisogno di buttar giù, rimboccarsi le maniche e SUDARE.
Io sono sbagliato. Cioè, nel mio modo di essere sono giusto, ma il problema è che mi mi basto, mi indosso e mi vado bene così. Come quando provi un paio di scarpe che ti piacciono un sacco, senti che ti stanno proprio giuste e che forse un mezzo numero in più sarebbe meglio, ma tu le prendi lo stesso perché quel mezzo numero non c’è e sai che piaceranno a tutti. Ecco, io sto con queste scarpe da ventisei anni, piacciono a tutti, ma a me stanno giuste. E non voglio scarpe giuste, le voglio con quel mezzo numero in più che magari non piaceranno agli altri, ma andranno bene a me. Vivo nel passato, cosa buona se hai ottant’anni e due figli che non ti parlano più. Può essere buono anche a ventisei anni, se però da questo passato qualcosa impari, se correggi il tiro che prima era andato fuori bersaglio, se quando ti si presenta un’occasione che prima hai perso ora, nel presente, la riesci concretizzare. Io tutte queste cose non le so fare, non sono ancora capace. Posso fare mille e mille volte ancora gli stessi errori, ma intanto il tempo passa. Vorrei scrivere un libro, vorrei saper fare sempre belle foto, vorrei essere più costante nelle cose che mi piacciono, ma non riuscendoci in queste, immaginate in quelle che mi fan cagare.
Ma bisognerà prendere coscienza di se stessi prima o poi, arriverà il momento di prendere un decisa decisione, un bivio in cui ci sarà decidere se, e cosa, fare.
Ma quando?