
Avete mai visto «Hollywood Party»? Spero di sì, cristo.
In pratica c’è Peter Sellers che interpreta un attore indiano, una comparsa in realtà, ed è la persona più impacciata che ci sia. All’inizio del film, interpreta il ruolo di questa specie di beduino che deve difendere il suo avamposto nel deserto. Diviso in più scene, si vede tutto il suo essere distratto, incapace ed egocentrico, suscitando comunque compassione ed allegria nello spettatore: non muore nonostante decine di colpi fucile ricevuti mentre avvisa con i suoi compagni la tromba, agonizzante ma vivo fino al ridicolo in cima ad una montagna; si fa beccare con un orologio da polso durante le riprese quando il film è ambientato a fine ‘800; e nella scena madre (e siamo solo al primo quarto d’ora del film) per allacciarsi il sandalo fa saltare in aria un intero castello, subito dopo l’avviso del regista che annunciava come la scena potesse essere girata una, ed una sola volta.
Il film poi prosegue con il party vero e proprio, dove Sellers viene invitato per errore.
Un capolavoro di comiche, in alcuni punti un film muto bellissimo.
Ecco, ci ho pensato oggi leggendo tutti ‘sti endorsement a Giachetti per il fatto delle Olimpiadi, o della crisi di nervi della Raggi sul referendum (!!!) per lo stadio.
Io penso che agli occhi degli altri, Roma risulta come Peter Sellers in «Hollywood Party»: appena ci danno il ciak per provare a fare qualcosa di concreto (la fine di Alemanno, Marino, la sua cacciata, un commissario che manco Basettoni, ora il primo turno, e mò il ballottaggio) l’attenzione si sposti sempre su altro.
Perché mentre si scannano su cinque cerchi ed un pallone, oggi non leggo loro dichiarazioni sul fatto che la metro passava con la stessa frequenza con cui Luca Giurato azzecca cinque frasi semplici di seguito. E sapete la causa? Pare abbiano sbagliato a montare le ruoete sui vagoni. Capite? Due linee e mezzo di metro (una Lione a caso ne ha quattro, e sei volte in meno gli abitanti di Roma), e questi sbagliano a montare le ruote.
Proprio come dover girare una scena di pochi secondi, e topparla clamorosamente tutte le volte. C’è sempre qualcosa di più piccolo e importante che ingigantiamo fino a saturarcene i coglioni per due settimane. Poi di nuovo via, un’altra scena brevissima che si protrae per giorni perché arriviamo sempre in ritardo, o perché ci squilla il cellulare durante le riprese.
Stiamo trasformando questa città in una tragedia dai mille atti, passando per una commedia da due soldi con un finale più che scontato.
