Descrivere due settimane di Salento per alcuni sarebbe molto facile: Gallipoli, droga, alcool, finanza, dancehall, dita o troppo umide o troppo lisce per chiudere le cartine, amori morti ancor prima di nascere o quando sono ormai adulti, Skrillex il 23 a Parco Gondar, il BluBay a Castro e via così di cliché.
Io però giù ho mia madre e mio fratello. Il resto della mia famiglia, che quando arrivo io una volta l’anno la completo e non perché voglia prendermi ruoli che non mi spettano, ma solo perché in mezzo c’è un vuoto creatosi per altrui volontà, e poco puoi farci.
Attenzione eh: io non mi sento nessuna responsabilità addosso, ché sempre un figlio -seppur maggiore- sono e tale voglio rimanere il più possibile. Però ecco, diciamo questa è un’età in cui scendere da tua madre in Salento vuol dire anche rassicurarsi che vada tutto bene, visto che ormai può definirsi una donna single.
Quindi descrivere due settimane in Salento, non a Gallipoli ma a Tricase che graziaddio è bellissima ma ancora sopportabile in termini di turisti (come me), e accanto a chi ti ha portato dentro per mesi e poi cresciuto per anni, ed avendo la possibilità di vedere tuo fratello crescere ogni giorno in quell’età meravigliosamente strana che sono i vent’anni, sono un altro paio di maniche. Perché sei felice di vederli, felice di poter prendere in giro tua madre e di sentirti rispondere di andare affanculo, felice di scambiare poche ma importanti parole con tuo fratello e sì, felice anche vedere il tuo cane cominciare a zoppicare per i suoi 49, canini anni.
Ed ancora più felice di poter condividere quei momenti così intimi insieme a persone che da relativamente poco fanno parte della vostra vita.
Mi spiego.
Barbara e Marco sono due amici di mamma, che li ha ospitati per un paio di settimane, conosciuti pochi anni fa proprio a Tricase e che non avevo ancora avuto il piacere di incontrare.
Vengono da Verona, e sono quel tipo di persone che vorresti conoscere, solo che ancora non lo sai.
Marco è un fitoterapista: in pratica estrae i principi attivi delle piante, li trasforma in olii essenziali e ci cura la gente. Ovviamente questo è quello che la mia mente semplice riesce ad elaborare quando sente la parola fitoterapia, ma Marco è anche docente all’università, gran lettore, persona informata, resuscitatore/resurrettore (boh) di forni in pietra che grazie a lui abbiamo fatto delle pizze che fermi tutti, massaggiatore stronca cervicali, appassionato di indovinelli e «Trappole Mentali». Persona con cui parleresti per ore di qualunque cosa, dai profumi agli aneddoti storici passando per Ignazio Marino, che scherza e ride ma rimane sempre lucida e coerente.
Barbara è la moglie/compagna/amica di Marco, come lui per lei. Psicologa, lavora con bambini e ragazzi provenienti da situazioni difficili e c’ha una forza dentro che si sente a distanza. Incredibilmente divertente, inarrestabile, con la battuta sempre pronta ed una parola bella per tutti. Soprannominata «la filippina» per la sua inspiegabile voglia di pulire e sistemare casa praticamente ogni giorno, ha fatto un po’ le veci di mamma quando era impegnata a lavorare (santa, santissima donna).
Sono un coppia incredibilmente unita, di quelle coordinate che a vederle da fuori sembra quasi stiano danzando senza prove e senza musica.
Belli come il sole.
Dopo qualche giorno sono arrivate anche le miniature, che chi mi conosce sa l’amore che irradiano e che diffondono e che ora ha anche un segnale più forte grazie alla loro scricciola di poco più di un anno. Se la scorsa estate era ancora un fagotto di dolcezza da portare in braccio, ora è un razzo che parte sulle sue gambine e che cambia continuamente traiettoria e che tu hai paura mica che ti butti giù il muro ma che cada lei ma è già troppo sveglia per farsi davvero male. Per me averli vicino è già generalmente una gioia. Conviverci per giorni è stato un piacere che nemmeno riesco a descrivere. La calma, le risate, gli sguardi che s’incrociano mentre controllano che la piccola Patasfronzoli (cit. Barbara) non si schianti mentre rincorre Drugo chiamandolo “BUBO!”.
Ma non si schianta, ché è troppo forte grazie a tutto l’amore che si prende ogni giorno, e che abbiamo amplificato tutti in questo periodo.
E poi c’è la coppia a cui tengo di più di tutte: io e Lei, reduci da una splendida settimana al suo paese, tra pranzi e risate e vino e abbracci e la certezza di star facendo bene, senza fare nulla.
Poi giù di corsa col treno preso all’ultimo e tutta la voglia di stare insieme e finalmente «farla conoscere a casa», quel piccolo evento a cui non hai mai dato davvero così tanto peso come questa volta, senza allo stesso tempo nemmeno pensarci. Dire che è andato tutto più che bene sarebbe nemmeno un eufenismo, ma proprio come non dire nulla. Di quelle cose da rimanerci storditi, imbambolati, come quando vedi davvero l’alba dopo una sacco di anni abbracciato alla persona che hai finalmente trovato, senza averla cercata. Quella Lei che scorre tra le mie foto da bambino, ride e sorride a vedermi crescere davanti ai suoi occhi. Quella Lei che mi prende la mano prima di addormentarsi, coperti da un lenzuolo che alla fine fa anche freschetto ed abbiamo la scusa dei piedi freddi suoi e di quelli caldi miei per annodarci e scendere insieme nel mare del sonno. Quella Lei del nostro primo bagno insieme, quella Lei di cui sento il sorriso addosso mentre mi guarda rannicchiato nel cerchio dell’ombrellone mentre lei fa a gara col sole a chi fa più luce, quella Lei che senza guardarci sappiamo tutto di noi e di quello che potrebbe essere.
E questo è solo la metà di quello che mi sento dentro, di quello che ho visto (ah! il Celacanto nuovo), ché ‘ste dita non ce la fanno questa volta a star dietro ai battiti. Perché c’è stato anche mio fratello con la sua dolcissima ragazza che guarda non avete idea della felicità. C’è stata mia madre e le sue premure da madre e le risate da madre e le chiacchierate da madre che ci sarebbe da scriverle un libro solo per lei e su di lei. C’è stata la voglia di stare insieme, tutti, nonostante ognuno passasse la giornata a modo suo abbiamo sempre trovato il modo di cenare insieme, magari fare una scappata al mare, fermarci a parlare, ad ascoltare un’improvvisata delle miniature sotto gli ulivi, scambiarci i link dei video doppiati su Youtube.
La normalità. Ma definite normale.
E chissà che non ci venga voglia di ritrovarci, presto, e di nuovo tutti insieme, per essere di nuovo tutti un poco più normali.