Io sono celiaco.
Dalla nascita.
Solo che alla nascita non potevano saperlo, e neanche prima: si era a cavallo tra il 1984 ed il 1985 e tra le analisi sul feto forse si faceva a malapena quella dell’HIV, figuriamoci quella per la celiachia. Considerate solamente che nel 2007 i celiaci (diagnositcati) in Italia erano poco più di 60.000. Nel 2011, sono saliti a 500.000.
Immaginate negli ultimi quattro anni.
Immaginate dal 1985.
Ovviamente non vuol dire che sono solo aumentati i celiaci, ma anche che sono state perfezionate le tecniche di diagnosi.
Ma non voglio tediarvi con numeri e robe di scienza, ma raccontarvi al volo cosa è stata, è ora e sarà per sempre la celiachia.
Inizio premettendo una cosa: la vita, da celiaco, è normalissima. Se segui la dieta, non hai problemi a vivere normalmente.
Certo è che qualche problema, se sei poco attento o molto stupido, te lo da.
Certo, come vi dicevo, all’inizio non sapevano cosa avessi.
Fin dalle prime pappe, vomitavo continuamente e non crescevo.
Mesi di ricoveri, analisi, flebo in testa che poi dici come mai a trent’anni hai la fobia degli aghi. Genitori preoccupati, nonni e parenti vari in ansia. Pediatri che consigliavano a mia madre “signora se piange non le dia da mangiare”, e giù di ricoveri e tentati omicidi (nei confronti dei pediatri).
Frullati di agnello.
Poi la diagnosi, il cominciare ad informarsi, il capire che alla fine ci si può campare.
All’epoca al massimo c’erano biscotti semplici, farina e pasta.
Ora i prodotti, grazie a dio, variano e di molto.
Ma non è stato sempre facile facile, ecco. Per fortuna, con una mamma appassionata di cucina, ero abituato alle sue cose, ai suoi dolci, e le varie Fiesta o Kinder Paradiso non mi hanno mai attirato. A scuola però la mia merenda erano i panini immasticabili, peculiarità che molti prodotti senza glutine ancora mantengono orgogliosi. Alle feste ho sempre mangiato l’interno dei panini all’olio, la fetta di torta mi passava davanti al naso correlato dalla faccia di chi me la porgeva che diceva chiaramente “ah! già! tu non puoi. povero” ed alle prime cene con i compagni di scuola, quasi sempre organizzate in pizzerie, portavo la mia base precotta, sigillata nella plastica, che consegnavo al cameriere a cui regolarmente dovevo chiedere massima attenzione nel tenerla lontana da forni e pale piene di farina tipo 00. E qualcuno, ancora ricordo, si rifiutò per paura di eventuali conseguenze.
Ma, davvero, non ne soffrivo. Avevo già una discreta sensibilità che mi portava a dire “aò, c’è chi sta peggio”.
Peggio, però, ogni tanto ci son stato.
Ho tre ricordi nitidi delle reazioni mie al glutine. E dico mie perché non tutti ne soffrono così male, o con le reazioni che leggerete.
Il primo risale a me piccolo, prima dei 10 anni sicuramente.
All’epoca era ancora periodo di prove che il Policlinico richiedeva di fare, anche e soprattutto a distanza, quando ero a casa. Una di queste, probabilmente ideata dai fascisti del glutine per far parlare i Partigiani celiaci, era di farmi mangiare un piatto di pasta normale.
Ovviamente, l’incarico se lo assumeva quella poveraccia di mia madre che non poteva nemmeno dirmelo.
A tradimento.
Ricordo benissimo l’odore, di quella volta. L’odore diverso, “non è la mia pasta, lo sento!” dicevo a mia madre. Col cuore rotto, mentiva dicendomi che l’aveva cucinata in un modo diverso. E insomma, se te lo dice tua madre.
Ricordo il sudore classico da pre vomito, e subito dopo un lago di sbratto rosso di sugo sul pavimento della mia cameretta, dove mi ero rifugiato a morire.
Il secondo ricordo che ho sono io intorno ai 12 anni. Ero in vacanza con gli zii e mia nonna all’isola di San Pietro. Il mare, le attenzioni, il sole. Ero un bimbo felice. Celiaco, ma felice.
In paese ci fermiamo in una pasticceria e, dopo mille raccomandazioni di mia nonna ed altrettante rassicurazioni da parte della pasticcera (“tranquilla signora, non è fatto né è andato a contatto con la farina!”), mi mangio un Sospiro.
“Buono!”, pensavo, “e che bello che io l’abbia potuto prendere in un posto normale!” mi dicevo, probabilmente non azzeccando così bene il congiuntivo.
“Mannaggia alla peppa!”, pensavo mentre, a metà bagno in mare, cominciò il sudore. E lo stomaco che si tendeva. E il vomito usciva, prima mentre ero piegato dietro una duna della spiaggia, e dopo in casa con nonna che mi seguiva con lo spazzolone mentre andavo in giro a fare la rappresentazione esatta de “L’Esorcista”.
Il terzo (ma non ultimo, ne ho a pacchi tra scommesse perse al McDonald’s e scambi di torte di Pasqua) risale ad un paio di anni fa.
San Mamma, ormai già stabilita in Salento, in vista di un po’ di giorni “cor fijo suo” prepara la pasta al forno. Cannelloni e conchiglioni ripieni, un po’ per me ed un po’ per lei e mio fratello.
“Ammazza chebboni Mà”, le dico, mentre lei assaggiandoli esclama “Me sò superata, non li distinguerei dai quelli normali!”.
Eh, infatti.
Due ore dopo ho l’attacco più brutto che io ricordi. Dopo la prima vomitata, mi ritrovo seduto sul cesso con mia madre davanti che regge una bacinella, mentre alzo l’asticella del cosiddetto “Colpo del Re”, e cioè ruttare e scorreggiare contemporaneamente: una scarica di diarrea continua e straziante (che un mio amico chiamerebbe “pisciare dal culo”) accompagnata da conati e rigurgiti di succhi gastrici, mentre il sudore è così tanto che a mia madre scivola la mano dalla mia fronte ed io, per la prima ed ultima volta in vita mia, anche se solo per un secondo, mi sento mancare.
Il pomeriggio lo passai a letto, tra apparizioni della Madonna dei Celiaci e la bacinella sempre pronta.
Ricordo anche una cosa divertente: appena mia madre rientro dopo un’assenza forzata di un paio d’ore, gridai “Bacinella! BACINELLA!” anche se ormai non stavo più male. Ma lei non poteva saperlo.
Per poco non mi schiatta d’infarto.
Insomma, la vita del celiaco non è impossibile. Ha i suoi alti e bassi, ha sintomi diversi, compare ad età differenti.
Ma è sempre stata una dieta, e poco più.
Il problema vero, negli ultimi anni, è chi la parola dieta l’ha presa troppo (poco) sul serio.
Ora, tra veganesimo, fruttariani e mangia sassi, la parola dieta è più usata di un cesso dell’autogrill. Ed ora comprende anche quella senza glutine.
Perché ora c’è la sensibilità al glutine.
Dio cristo.
La sensibilità.
La sensibilità a me ha sempre causato cazzi amari: piangere per le pubblicità, soffrire più del dovuto per una storia finita, piangere per un’altra pubblicità.
In questo caso, ‘sta sensibilità al glutine mi causa un gran rodimento di culo.
Perché ora il glutine è ovunque per tutti, ma nel modo sbagliato.
Perché ora se ti fa male la testa dopo un piatto di pasta, sei sensibile al glutine. Non è il fato.
Se hai mangiato una pizza ripiena di alici, soppressata e bufala, e poi ti gonfi, sei sensibile al glutine. Non è che stai digerendo la merda.
Se l’altra notte hai sognato la farina, sei sensibile al glutine. Non è che ti sta per morire il vicino.
Tutta ‘sta sensibilità aumenta la richiesta, solo che chi offre ne sa ancora meno di chi chiede.
Perché mentre chi scopre, o pensa di aver scoperto, la sua enorme sensibilità non sa di cosa parla, non sa che il glutine è una proteina, che i villi intestinali di un celiaco sono bruciati mentre l’interno di un intestino normale sono il bosco di braccia tese di Battisti, il sensibilino non sa che significa vomitarsi l’anima o non saper dove mangiare ché tanto se sgarra al massimo si gonfia un po’, intanto chi si trova una richiesta così alta di cucina senza glutine s’improvvisa. Inventa il cazzo di sapone per le mani con la scritta “Senza Glutine” in bella vista quando il glutine o te lo mandi giù, o non ti fa una mazza. Compaiono cartelli a caratteri cubitali con scritto “Senza Glutine” ovunque, fuori da gelaterie, pizzerie, ristoranti, che non hanno cambiato il menù né tanto meno la cucina. Però c’è scritto, quindi è vero.
Come la Bibbia.
Io, ai sensibili al glutine, auguro un giorno da intolleranti, al glutine.
Un giorno in cui dopo un paio d’ore dall’etto di pasta si possano svomitazzare l’anima, giusto per fargli capire che sì, sicuramente limitarne l’assunzione fa bene a chiunque ma che no, la celiachia non è una cazzo di moda.
La celiachia, quella vera, se presa sottogamba può dar problemi seri alla tiroide, portare al cancro all’intestino, allo stomaco. Insomma, mica cazzi.
Quindi, per favore, smettiamola un secondo di far diventare moda il cibo, fermiamoci un secondo dal trend della cucina particolare.
Capite cosa avete, se avete qualcosa, e mangiate di conseguenza.
Ma per voi, non per l’immagine che volete gli altri abbiano di voi.
Io, adesso, dopo che il Duplo non m’interessava ed il pane me lo faceva mamma, se passo davanti ad una pasticceria o sento l’odore del pane fresco, un po’ rosico.
Se smettessi improvvisamente di essere celiaco, anche solo per un giorno, ingrasserei una decina di chili tra pasticcini e pizza bianca con la mortazza.
A ‘sto punto, se non volete strafogarvi per voi, fatelo per me.
Sensibilini.