Rome Rider

Edizioni rarissime.
Edizioni rarissime.

Abitare a Roma, per tutta una serie di motivi, non è proprio il massimo.

Si ok, i monumenti e l’atmosfera, il cazzo che vi pare. Ma ormai il quotidiano romano equivale ad essere messo in una stanza con le migliori pornostar del momento, ma legato ad una sedia. Ci sarebbe tanto da leccare, ma non puoi.
Qualche minuto fa, mentre rientravo a casa, mi sono immaginato Roma, ma soprattutto la mia zona, come un videogioco. E nonostante abbia alle spalle praticamente venti, onoratissimi anni da videogamer, non sono sicuro di poter riuscire a finirlo, ‘sto gioco qui.

Inizia la mattina, con la sveglia. Ecco, questo è il tutorial, il livello che fai senza rischiare di morire e dove una voce metallica di donna ti guida passo passo.

“Apri gli occhi. Bravo! Ora, se vedi un poco appannato, non preoccuparti: ti sei appena svegliato, è normale! E poi se continui ad andare a dormire come se fossi John Belushi mezz’ora prima di morire, ringrazia dio che ti svegli!!

Grazie, tutorial. È sempre un piacere.

“Figurati. Ora fai un breve riepilogo mentale di quanto fa schifo la tua vita, e poi piedi in terra! Forza! Perfetto, così. Ora, muovendoti a destra e sinistra, evita nell’ordine: il termosifone elettrico, quattro paia di mutande, cinque di calzini più quei tredici spaiati.. così, bravissimo!! Ora allunga la mano ed apri la porta, ma prima preparati all’impatto con la luceeeeeeeee appunto. Aspetto che finisca la cecità. Rielaboro. Ok, possiamo andare.”

 

E così via, fino a quando quell’insieme di pipì/macchinette del caffè/cacca/dentifricio/tuffo nell’armadio cosparso di colla diventi un tu, magari un poco diverso dal giorno prima ma comunque incastrato nello stesso, identico livello.

Nei videogiochi, ci sono punti di un quadro che devi ripetere per ore: un salto in Prince of Persia, una curva a Gran Turismo, una Sniper Wolf a Metal Gear Solid o una combinazione di tasti a Fahrenheit. Il tutto corredato da lanci di joypad e fitte precipitazioni di madonne con improvvisi rovesci di cristi. Piano piano, però, riesci a capire angolazioni, tasti, momenti giusti fino a quando non superi quel punto e via, più felice e più saggio, verso il nuovo ostacolo.
Nella vita, idem.

Uscito di casa, devi prendere l’autobus. Chi prende la macchina è a livello extreme, ed io non ci gioco mai al livello extreme perché rosico troppo.

L’autobus è come una di quelle pedane mobili dei platform, come in Crash Bandicoot. Arrivi alla fermata e come con le pedane devi beccare il momento giusto per saltarci su, sperando che non sia appena passato perché altrimenti devi aspettare troppo e rischi che scada il tempo. Quando c’è sciopero, è una parte del livello a difficoltà hard e solo dopo anni d’esperienza puoi risolvere grazie a trucchi come il passaggio a scrocco o la carta lavoro da casa.
Inoltre, sulla pedana-autobus corri il rischio di trovare un boss, il controllore. Ma io ho il mio scudo protettivo annuale, la carta Metrebus. È uno di quegli accessori che non acquisisci con il tempo, ma con i soldi sullo store dell’Atac.

Viaggiare su un autobus di periferia significa reggere l’impatto con una media tripla di buche rispetto a quelle del centro. Ce ne sono così tante che a volte mi salta l’iPod come se fosse un lettore cd.
Questo punto, come i ritardi e la maleducazione degli autisti, si supera con l’abilità Santa Pazienza, una delle più difficili da acquisire al 100% ma anche una delle più utili in quanto, per esempio, impedisce di dare in escandescenze come i matti a Termini ed evita il conseguente arresto per atti osceni in luogo pubblico.

Diciamo che mettiamo il gioco in pausa da quando entrate a lavoro o dove cazzo passate le giornate fino a quando ne uscite.

“Allora? Che facciamo? Qui si deve ricominciare!!”

Checcazzo tutorial, avvisa. Mi hai svegliato.

“Appunto. Forza, prepara lo zaino e via dall’ufficio. Sai cosa dobbiamo fare.”

No dai, oggi no. Guarda, dormo qui. Mi metto sotto la scrivania.. oppure metto un po’ di scatole vuote schiacciate a terra, eh? Che dici?

“No. Forza, in marcia.”

Ennò su. Facciamo così: vado a prendere del vino, un paio di pizze e stiamo qui a parlare.. nemmeno ci conosciamo!!

“Certo, che non ci conosciamo. Non ci conosciamo perché io sono una voce nella tua testa, e non puoi conoscere le voci nella tua testa. Né tantomeno offrir loro del vino sperando poi in chissà cosa.”

Ah no?

“No. Possiamo andare, ora?”

Andiamo.

Uscito dall’ufficio, entri in modalità Hard: sei stanco, hai perso punti energia ed hai bisogni di salvare i progressi fatti.
Prima di tutto, devi attivare subito l’abilità Visione NotturnoPeriferica, per avere una vista ottimale dato che ora fa buio alle due di pomeriggio, ed anche la più ampia possibile per evitare le mine disseminate lungo il percorso.
E per mine intendo merde di cane. Decine, di merde. Che poi, cane. Magari fossero solo di cane.
Fatto sta che queste enormi montagne di merda che manco il dottor Grant di Jurassic Park ha visto mai sono ovunque, alcune negli stessi punti di qualche ora prima alle quali se ne sono aggiunte altre ancora.
Pensi al gioco dei giochi, Campo Minato si Windows, e vorresti mettere bandierine su bandierine.
Non sulle merde eh, ma nel culo dei proprietari dei cani.

Poi devi aspettare di nuovo la pedanautobus, e non capisci il perché ma sempre, da sempre, la sera in quella zona passa una tua pedana ogni tre, quattro pedane degli altri. Che mica puoi prenderne una a caso, altrimenti rischi di andartene dritto in un livello che non conosci. E poi come torni?
Insomma aspetti, e intanto completi qualche piccola missione complementare: fumare una sigaretta, appuntare un’idea sul taccuino, guardare più culi possibili senza farsi beccare, tipo il fantasmino di Super Mario Bros. 3.
Ecco la pedana, che a quest’ora è piena di altri giocatori, e dalle facce di vincenti ce ne son pochi.
Mentre sopporti l’ennesimo tour di buche che sembra un massaggio shiatsu fatto da una pressa idraulica alimentata ad anfetamine, cambia la musica.
Quello che prima era un motivetto ripetitivo in midi, diventa un insieme di violini che scandiscono il tempo in crescendo, facendo salire la tensione: è il momento del boss.

A differenza dei boss classici dei videogiochi, che solitamente sono o mostri giganteschi sputa morte o personaggio super intelligenti che sarebbe più facile battere a scacchi il Deep Blue della IBM, il mio mostro finale è una serie di ostacoli uno dopo l’altro, accomunati da un’unica cosa: il buio. Perché i lampioni che funzionano, a Ponte Galeria, li danno solo nella versione deluxe.
Tali ostacoli, nell’ordine, sono:

– l’autista che potrebbe non sapere dov’è la fermata e quindi tirare dritto, visto che fino al turno prima ha fatto la navetta circolare del Gianicolo, e perché sul rettilineo tutto dritto con un mezzo che pesa mille milioni di chili che fai, non vai a 180? Evidentemente lui sta giocando a GTA.

Ma diciamo che si ferma in tempo.

– devo attraversare la strada. Ripeto, è buio pesto, c’è un rettilineo che nemmeno quello nel circuito di Catalogna quindi  se l’autobus correva, immaginate le macchine. Fari che da punte di spilli si trasformano nelle luci dell’astronave di E.T. in due secondi netti, DeLorean che sfrecciano a mezz’aria gareggiando con i veicoli di Wipeout. Attraversare la strada è come farlo in Frogger, solo che non vedi in tempo quando arrivano.

Ma oggi è il mio giorno fortunato, ed attraverso la strada.

– il cane della cava e il cane dei vicini. Ammetto che non mi è mai successo di trovarmeli davanti entrambi nello stesso momento. Ma singolarmente sì, e visto che il primo è un pastore tedesco addestrato da polacchi ignoranti come italiani ed il secondo un Rottweiler che hanno chiamato Kabul, preferirei trovarmi davanti dieci cani zombie di Resident Evil da uccidere a mani nude piuttosto che doverli affrontare, da soli o meno.

Quindi qui va tutto ok come sempre, e riesco a salire fino a casa. Devo solo superare la pozza (e puzza) di fogna che spurga dal muro di alcuni vicini, i quali hanno deciso che loro non lo riparano e che tutti dobbiamo indossare maschere tattiche come in Call of Duty.

Insomma, non è una passeggiata, ma devo dire che ogni giorno perfeziono il metodo e curo lo stile, così da superare al primo colpo ogni ostacolo e metterci meno a studiarne di nuovi.

Che nonostante tutto, alla fine, ‘sto pallosissimo, enorme gioco è pieno di stanze segrete che compaiono a sorpresa, ti fanno felice anche solo per un po’ regalandoti cuoricini e dolci e funghi e gemme, e ti ricaricano prima di ricominciare a saltare di pedana in pedana, di livello in livello, di boss in boss.

L’unico vero obiettivo missione, in fin dei conti, è quello di arrivare il più tardi possibile al game over, possibilmente pieno di monete e cuoricini.

 

Momento cLou

Tutto il bene per tutto il resto, ma a me rimarrai per sempre nel cuore per questa, e per quei momenti:

Improvvisate #1 – Dubbi Da Social Netework Ed Un Finale Tragico

(cose starnutite ed appuntate al momento che copincollo prima che finiscano nei panni sporchi dell’universo tutto detto anche “gli effetti negativi della Cannabis”)

Qualcosa del Genere (chi non lo conoscesse è pregato di guardare da molto vicino una sega elettrica in azione, da ubriaco) scrive questo:

Facebook ha rimosso la cosa che avevo scritto su Helmut Newton perché a quanto pare trova immorale e socialmente diseducativo che ammiriate la bellezza umana nelle sue più alte espressioni mentre spiate la vita del vostro ex-ragazzo, vi rincoglionite coi meme dei quattordicenni americani e fingete che vi piaccia Apparat.
Mi scuso e ve la ripropongo con le opportune modifiche.

pubblicando poi il post “inrcrminato”

“Non penso che Helmut Newton avrebbe successo senza la buona fede delle donne che ti trascinano alle sue mostre. Io non direi mai: “Ehi, che ne dici se prima di andare da me a bere qualcosa ci guardiamo 50 foto di giovani pediatri di Emergency con 25cm di cazzo e un attico a Monteverde?”.

Ora, tralasciando l’applicazione delle regole di Facebook, che se fossero quelle di un paese reale le strade sarebbero piene di ragazzine troppo truccate, gatti e citazioni di Moccia sui muri, volevo soffermarmi sui commenti di FB.

QdG affronta svariati argomenti degni di un commento in sole 11 righe: le già citate “leggi” di Zuckerberglandia, Helmut Newton, la bellezza umana, l’uso di FB, i meme site, Apparat, senza contare quelli del post rimosso, degno del solito, geniale cinismo sempre (mai) volgare. Si potrebbero aprire discussioni infinite su ogni argomento, preso singolarmente o intrecciandolo con un altro. A voler perdere tempo, potresti stare ore a scrivere cazzate.

Invece, c’è chi pensa bene di commentare così:

 

“… 🙂 … è vero…”

Nove puntini, quattro lettere e uno smiley,
Prima di tutto: è vero cosa? È vero tutto o in parte? È vero che Facebook censura? O che il quadro che fa QdG dell’utente medio corrisponde a realtà?

Ma poi, più che altro, cosa ti spinge a scrivere “… 🙂 … è vero…”? Non puoi semplicemente mettere il like, come tutti, e poi startene zitto invece di dover per forza divulgare il nulla-pensiero solo per dire “ehi ci sono”?

La terra la calpestiamo in miliardi tutti i giorni (tranne i paralitici), e tu sei solo l’ennesimo sacco di concime in pelle, come tutti noi.

Questo, ad esempio, è vero.

(:

Mai Stato Bravo #5

In venti.
In venti.

-Se non ci fossi bisognerebbe inventarti.
-Ma io ci sono. E adesso che ti inventi?
-Niente, visto che sei qui con me.
-Ma tra poco non saremo più soli.
-Perché, chi viene?
-Gli altri.
-Ed in quanti sono?
-In venti.
-Non ne ho bisogno, sei qui con me.
-No intendevo che sono in venti, diciannove più uno.
-E chi è il più uno?
-Non lo so, non so nemmeno chi sono gli altri diciannove in realtà.
-Però io volevo stare con te, solo io e te.
-E allora gli diciamo a tutti i diciannove più uno che abbiamo da fare.
-E che t’inventi?
-Boh, non saprei. Tu?
-Io niente, già sei qui con me, che altro dovrei inventarmi?
-Niente.
-Appunto.
-Che cosa?
-Mi appunto che tu sei qui con me.
-Non puoi semplicemente ricordartelo?
-Ho la memoria breve.
-Come mai?
-Come mai cosa?
-Lascia stare.
-Insomma gli altri vengono o no?
-Credo di sì, non so che dirgli per dargli buca.
-Digli che sei morto.
-Come faccio a dirglielo se sono morto?
-Oh mio dio come è successo?
-Cosa?
-La tua morte.
-Non sono morto, sono qui con te.
-Menomale, perché se non ci fossi bisognerebbe inventarti.
-E se morissi?
-Non saprei. Vorrebbe dire che c’eri e quindi non ci sarebbe stato bisogno di inventarti, ma dopo non ci saresti più e allora bisognerebbe inventarti.
-Non devi, sono qui con te.
-Per fortuna, aggiungerei.
-La fortuna è cieca, e spesso pure stronza.
-La sfiga invece è gentilissima, è sempre con noi.
-Se non ci fosse, bisognerebbe inventarla.
-Come te.
-Quindi io porto sfiga, secondo te?
-Ma che dici? Al massimo porta da bere ed un telo, così ci andiamo a sdraiare al parco.
-Lo dico anche agli altri?
-Dipende da quanti sono.
-In venti.
-A che pro? Sei già qui.
-Hai ragione. Dico agli altri che sono morto.
-Spero tu non abbia sofferto.
-Ho sofferto già abbastanza mentre ero in vita, dovrei sentirmi sollevato. In effetti lo sono.
-E’ perché sei sulle mie spalle.
-E come ci sono finito qui sopra?
-Qui sopra dove? Chi parla?
-Ancora problemi con la memoria?
-Dovrei cancellare qualche ricordo per fare spazio e ricordare più cose, tipo tu sulle mie spalle.
-Fammi scendere.
-Aspetta, vedi se arrivano gli altri.
-Non vengono più, sono morti.
-Allora siamo solo io e te.
-Già.
-…
-…
-Sono contenta tu sia qui con me, se non ci fossi bisognerebbe inventarti.

i zombie quanti animali anno amazzato

No, it's not.

Quello che vedete sopra è un termine di ricerca.
Per chi fosse giunto solamente ora dal pianeta “Idio.tia14”, un termine di ricerca è quello che digitate voi su Google (o Bing, se siete deficienti) quando cercate qualcosa.

“ricette riso e asparagi”
“perché la pipì puzza dopo che ho mangiato gli asparagi”
“posso bere la mia pipì anche se puzza di asparagi”

Quel termine di ricerca è stato usato per arrivare al mio blog.
Ora, grazie a questi piccoli spaccati di psicologia, non osando immaginare quelli che cercano porno, si potrebbe scrivere un breve trattato di antropologia.

Scorrendo i sommari della cronologia sul mio blog, in fatto di ricerche, un paio di assurdità (generate dalla follia e/o da un refuso) si trovano:

“squitting e bestemmie”
“pulzia di satto”
“animali che fanno l’amore con durex”
“aridatece megaupload”
“come si pronuncia tromso”
“cacca in strada porno”
“satira pompei”

Per fortuna, tutte queste pazzie sono state cercate una sola volta ciascuna.

Ma la migliore, persa nel tempo e nella rete, fu un insieme di perversione e casualità, che portò uno sconosciuto quanto temuto utente sul mio blog al grido di:

“anziani che si pisciano addosso”

 

Il genio, come dico sempre, si palesa in mille modi.