La finestra sul campanile

Davanti la finestra della mia camera la vista non è più o meno bella né più o meno brutta di altri posti medi nel mondo. Per dire, la vista qui è meno bella di quella che avevo a casa mia a Roma: paradossalmente, pur vivendo circondato da morte nascosta dietro discariche e fabbriche, la mia cucina dava sulle colline, su bei tramonti, su aerei che atterravano facendoti immaginare storie. Però ne ho pure viste un sacco brutte forte, tipo quelle nei palazzoni a Magliana, o con la vista nei cortili interni abbandonati dal signore. Qui a Lisbona me ne ricordo uno particolarmente brutto, sia per il (non) panorama che per la questione umana, di oppressione pure guardando fuori da un vetro.
Era la cucina di un grande appartamento, in ci vivevano un paio di colleghi con altre due, tre persone. Una bella casa che nonostante fosse in condivisione, dava l’idea di avere spazio per viverla. Cosa rara, in una città come questa, con gli affitti alle stelle e le persone che pagano uno sproposito per degli sgabuzzini, spesso senza finestra alcuna. In ogni caso, la cucina è vivibile, fornita e con una piccola veranda chiusa tipica di alcuni palazzi della città. Tipica è anche la finestra scorrevole che solitamente affaccia su qualcosa. In questo caso, i primi tempi, questo qualcosa era un’altra cosa molto tipica di Lisbona: un palazzo vuoto. Nel senso, vuoto dentro, senza piani, una sorta di scenografia scala e peso uno a uno. Tipo la casa in Via dei Matti numero 0 della canzone. Le strade sono costellate di questi enormi pannelli di palazzi, sorretti da complicati intrecci di travi di legno e acciaio, bulloni enormi che scarnificano il cemento, vernice che cade dalle pareti staccandosi come pezzi di ghiaccio da un iceberg. A volte ci sono i segni di un incendio, come il nero intorno a una finestra. Son spettacoli pietosamente belli, quelli di queste scenografie di film che non gira più nessuno.
Una parete di queste stava lì, a nemmeno dieci metri dalla finestra scorrevole della veranda. E copriva tutto: la vista sulla strada a destra, una piccola collinetta sulla sinistra, e di base la luce del giorno in tutte le direzioni, a tutte le ore. L’unica altra cosa visibile era l’arrugginita scala antincendio che scendeva a zig-zag lungo la parete del palazzo. Volendo ci si sarebbe potuti andare e anzi, in teoria, ci si sarebbe dovuti andare in caso di emergenza. Ma col cazzo: mi accontentavo di aver poggiati lì i posacenere e dovermi solo allungare un poco per ciccarci dentro. Poi è successo che dopo un po’ di tempo, a sorpresa, hanno iniziato dei lavori nel palazzo vuoto. Tipo, che ce ne sono a bizzeffe, in giro, e tu dici “proprio questo?” e la risposta è un sì che dura mesi, che tu vai a trovare i tuoi amici e la parete davanti, quella che prima non conteneva nulla, adesso è nuova, ridipinta e soprattutto molto più vicina alla finestra. Nelle settimane successiva, sembrava vederla crescere. Ed è strano eh, dire di aver visto crescere una lastra di cemento e acciaio. Però così è stato, l’abbiamo vista crescere fino a che quasi si faceva toccare. Sembravamo dei piccoli Tim e Lex che accarezzano il brontosauro.
È finita che salire sulla scala antincendio non sarebbe stato più così pericoloso, visto che ormai l’altro lato, quello che dava prima sul vuoto e poi sulla parete pannello, ormai poggiava su quella che era diventata la nostra parete dinosauro adottiva, perfettamente incastrata tra due palazzi. In caso di incendio in qualsiasi dei due, comunque, sarebbe stato inutile scappare perché le fiamme avrebbero attaccato subito l’altro in un secondo.

Davanti la finestra della mia camera la vista non è più o meno bella né più o meno brutta di altri posti medi nel mondo.
Affaccia per metà sulla parete lunga e sinistra di una chiesa. Sinistra se la guardi da davanti, ma pure se la guardi e basta una chiesa ha sempre un non so che di sospetto. Però questa è lontana, c’è una strada in mezzo per fortuna. Per l’altra metà ci sono palazzi nella norma, alti quanto il mio, più o meno, che fa sei discreti piani di costruzione. Se mi affaccio un po’ (ma poco, che mi caco sotto alla sola idea di avere uno svarione per l’altezza, visto che sto al terzo) a destra si vede la strada che gira e se ne va, e a sinistra il resto della chiesta e in fondo e molto lontano, c’è il Jardim da Estrela e la basilica subito dietro. Insomma, a sinistra c’è molta religione, dalla mia finestra.
E io me l’ero scordato. Perché nostro signore, nella sua immensa bontà, aveva fatto smettere le campane della suddetta chiesa, quella sinistra in base a come la guardi o se la guardi e basta. E lo dico senza sarcasmo alcuno. Per quanto le campane possano magari dar fastidio, alla fine possono ricordarti casa e magari se a casa stavi bene si chiude un cerchio di bei ricordi. A meno che tu non sia il figlio sopravvissuto della Franzoni. In ogni caso, queste campane di questa chiesa sinistra suonavano letteralmente come campane. Sai quando dici a un amico che canta male “madonna che campana che sei!” beh ecco, loro erano proprio fedeli al loro nome. Suonavano i tipici motivetti folkloristici cristiani innanzitutto sempre due, tre minuti prima dell’ora in cui sarebbero dovute partire. E già. Poi avevano questo modo tutto loro di andare fuori tempo a ogni singolo colpo, ogni nota stonata e ricordando solo vagamente e con molti sforzi da parte soprattutto dei non credenti il motivo originale. Cioè, la melodia, che il motivo nel senso del senso, della ragione, del perché, lasciamo perdere che è meglio guarda.
E quindi nostro signore, vostro, loro insomma lui, deve aver imposto la mano sulla coscienza del signor prete facendogli chiamare un tecnico, che ha fatto il suo lavoro di tecnico ma con l’aggravante (in questo caso, un gran vantaggio per tutti) di essere portoghese. Quindi coi tempi suoi. Quindi molto tempo. Quindi un sacco di mattine e sere senza quello straziante grido di aiuto di due enormi tazzine da caffè in rame messe a testa in giù, che piangono tutto il loro disagio come nel finale di una performance andata male di Bells Got Talent. Se il cristianesimo è pace beh, signore mio, hai il mio voto.

Ma poi il signore, che probabilmente senza il rumore delle campane sentiva meglio le bestemmie in romano, toscano e milanese che arrivavano da casa nostra, ha deciso che era tempo per il tecnico di terminare il suo lavoro. Ieri, dopo una serie di prove durate una decina di minuti, nostro signore ha di nuovo inaugurato le campane. A quante pare, le hanno accordate meglio. Al momento suonano solo allo scoccare delle ore, ma lo fanno ancora con un minuto di anticipo e senza troppa cura. Mentre scrivevo, proprio ora, son scattate nel frattempo le 13 e le 13.30. In entrambi i casi ha suonato parecchi secondi prima, e con lo stesso suono senza manco provarci, a fare i due rintocchi dei quarti d’ora.

Davanti la finestra della mia camera la vista non è più o meno bella né più o meno brutta di altri posti medi nel mondo.
Però i suoni.
Ah! I suoni.

Quattro Motivi per Rimanere a Roma – Uno

L’Applicazione Fai-Da-Te del Codice Stradale

Se con Marino la situazione della Polizia Municipale stava cominciando a migliorare (un ex poliziotto a capo, introduzione di nuovi sistemi per le multe, servizi che vivevano di segnalazioni del cittadino) con la giunta Raggi la situazione è tornata come prima, e cioè: liberi tutti.
Questo vuol dire che se hai una macchina puoi tranquillamente continuare a parcheggiare in doppia fila, passare a rosso inoltrato, suonare clacson come se fossimo tutti sordi e stare al telefono per ore, tra le tante cose.
Il pedone non esiste, quindi nessun problema se dovete lasciare la macchina sulle strisce o davanti alle rampe per disabili.
Il ciclista è invece un animale strano, bistrattato da entrambe le suddette categorie ma sempre arrogante quel basta da fregarsene di tutti e fare di necessità (l’arrangiarsi a causa della totale assenza di piste e segnaletica riservate) virtù (stare ovunque, dal marciapiede ai binari del tram).
La quasi totale mancanza di controlli, per nulla compensata da sporadiche quanto aggressive apparizioni di dipendenti ATAC che come avvoltoi girano tra macchine parcheggiate una sopra all’altra, con proprietari che inventano scuse come coi compiti alle elementari («capo m’è appena morta nonna! se l’è magnata er cane!»), insomma se non fosse per le ronde da leghisti stupidi e qualche capannello di vigili ai gabbiotti nelle ore di punta, Roma a livello di civismo stradale starebbe al pari di quelle capitali dell’Est Asiatico dove gli incroci sembrano ingrandimenti di formicai abitati da insetti idrofobi.

Ma è anche tutto quello che riguarda la strada, e non solo chi la abita, a rendere Roma unica.
Alcuni esempi?

I parcheggiatori abusivi sono ormai così presenti e radicati da essere finalmente in procinto di prendere l’autorizzazione per essere regolarmente abusivi.
Alcuni semafori non cambiano colore per così tanto tempo da sembrare dipinti.
I cartelli stradali sono espositori per adesivi “La droga dà la droga daje”, “Welcome to Favelas” e “Ultras Roma Per Sempre Forza Maggica Totti Sindeco”.
I marciapiedi sono tutto tranne zone franche per pedoni: diventano parcheggi, scorciatoie per motorini, banali appendici delle corsie dedicate.
Tassisti che menano autisti NCC che menano conducenti Uber che al mercato mio padre comprò.

Insomma, in un mondo che punta al verde, all’ecologia, alla riduzione di emissioni nocive, che ti obbliga a camminare o pedalare, a rinunciare alla macchina se non addirittura a vietarla, Roma va orgogliosamente controcorrente confermandosi una città a misura d’auto: 613 ogni mille abitanti, oltre due milioni e trecentomila veicoli circolanti su poco meno di tre milioni di abitanti.
E proprio per questo il codice stradale deve, essere speciale. Non può andare incontro al comune senso civico ma deve essere di nicchia, particolare, unico, così come la città che ne permette l’applicazione.
Siamo o non siamo quelli famosi per Gregory Peck e Audrey Hepburn in due sulla vespa, senza casco, a guardare tutto tranne che la strada?

Quattro Motivi per Rimanere a Roma – Un’Introduzione

Da qualche settimana ho iniziato a limitare i miei passaggi su Facebook.
In primis per potermi concentrare (o almeno provarci) sulla scrittura.
E poi perché era diventata la mia principale fonte di notizie quotidiane. Solo che lì sopra non sono mai vere notizie, perché sporcate da opinioni e punti di vista e ragionamenti che le modificano, le distorcono fino a presentarsi come questioni personali: diventiamo tutti sismologi, medici, politici e quasi ti manca quando eravamo solo allenatori di calcio, e solo il Lunedì.

Questa seconda cosa mi sta quindi aiutando molto, perché non sono più costretto a leggere di quanto gli immigrati qui, i politici lì, i terremoti esagerati dallo Stato e la tipa che compare su ogni scena di ogni attentato da quello dell’arciduca Francesco Ferdinando nel ’14.
Ma soprattutto, mi sto depurando da tutta una serie di costanti, continue, quotidiane informazioni sulla malagestione di Roma da parte del Movimento Cinque Stelle, nella persona della Raggi e della sua setta cerchia.
Da accanito sostenitore di Marino, gli ultimi due anni li ho passati arrabbiandomi, contestando, documentandomi, leggendo molto e scrivendo ancora di più. Ho creato pagine e segnalato altre, ho risposto a ogni commento (e all’inizio sono stati davvero tanti), ho bloccato più gente io che Dikembe Mutombo nella sua carriera e poi, a un certo punto, mi sono rotto il cazzo.

E quindi nell’ultimo mese mi sono staccato dall’oversharing di critiche sui mezzi, sull’AMA, sull’amministrazione e le sue non-scelte, iniziando a valutare l’idea di andarmene via e stop, via il dente via il dolore. Ho cominciato a parlare solo tramite la mia pagina Il Penultimo dei Romantici e sono arrivato adesso a capire che non solo questa cosa sta avendo effetti positivi sulla mia scrittura, ma anche sulla sopportazione per la mia città.
A stare sempre lì a puntare il dito, criticare, vedere le cose che non vanno si arriva a far riempire la colonna dei Contro dimenticandosi dell’esistenza di quella dei Pro.
Nonostante tutto Roma i suoi Pro ancora li ha, e avere tempo di osservarla meglio mi ha dato modo di trovarne almeno quattro, di validi motivi per rimanere e godere di quello che la Città Eterna già può offrire anche (soprattutto?) grazie al contributo della Sindaca e il suo staff perennemente in Movimento.

A partire dal prossimo Lunedì, per quattro Lunedì consecutivi, le quattro ragioni per cui alla fine Roma può offrire delle possibilità che non solo sono nascoste, ma sotto il nostro naso (e a volte dentro) tutto il giorno, tutti i giorni, e che possiamo sfruttare per restare, e trarne tutti i vantaggi possibili.

(mal)Educazione Romana

U

Qualche giorno fa ero, come sempre, in metro. Da tempo ormai, da quando ho cominciato a riprenderla regolarmente, ho preso l’abitudine di non sedermi se c’è posto. Sto seduto tutto il giorno e c’è sempre chi ha più bisogno di me di riposare gambe e chiappe, quindi preferisco poggiarmi in testa o in coda a seconda di dove devo scendere, apro il mio libro e mi metto buono buono a leggere. O almeno a provarci.
Quel giorno dopo qualche fermata di tragitto si accende una discussione fra due signore intorno ai 40: la prima, seduta, non aveva evidentemente lasciato il posto alla seconda, con un bimbo in braccio. La mamma parlava a voce sostenuta con una persona accanto di quanto la gente fosse maleducata, con chiari riferimenti alla prima che visibilmente colpita nell’orgoglio e aizzata dal senso di colpa, ha cominciato a rispondere e così via, fino a che una delle due è scesa.
Inutile dirvi chi secondo me avesse torto.

Esatto, entrambe.

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No?

Provo a spiegarmi.

Partiamo subito da una grossa premessa: io sono stato e sono tuttora, per quanto possa ormai valere, un sostenitore di Ignazio Marino. Uno di quelli obiettivi, o almeno credo, che sa bene le cazzate che ha fatto ma conosce anche il quadro generale, e tirando le somme alla fine «ha fatto anche cose buone».
Allo stesso tempo, sono un informato detrattore del Movimento Cinque Stelle, e di conseguenza non sono proprio un estimatore di Virginia Raggi. Credo che dall’alto al basso ci siano talmente troppe cose da sistemare che alla fine sarebbe meglio lasciar perdere tutto il baraccone che hanno tirato su, prima che faccia danni ancor più seri.
Ma non sarà un continuo e precocemente già visto paragone tra i due, tranquilli.
Ok?
Fine premessa.

Da quando la Raggi si è insediata, si è cominciato a palesare uno scenario inquietante: un’attesa infinita prima dell’annuncio della giunta con parecchi nomi aberranti all’interno (vedi la Muraro che individua nei pedoni una delle cause per cui si creano ingorghi), ed altri forse peggiori, fortunatamente scartati.
(ciao Lo Cicero. Ciao).
Le comparsate a Tor Bella Monaca dove si prende il merito della pulizia di un pezzo di ciclabile, senza citare l’Associazione 21 Luglio ed il Chentro Sociale per la pulizia di buona parte della zona rimanente.
Il silenzio sul fatto che sia indagata per mancata dichiarazione su quanto ricevuto in seguito a degli incarichi alla ASL di Civitavecchia, evento da lei liquidato con un «ho chiarito ogni aspetto».
Per ultime l’infelice uscita di Marcello De Vito sul taglio delle auto blu dei consiglieri che non hanno auto blu a disposizione, quella dell’immeritato merito sul reintegro di più di mille insegnanti e la prima vera mancata promessa elettorale, con il voto contrario a 300.000€ di fondi destinati ai centri antiviolenza.
Queste ultime tre cose le ho messe insieme perché sono successe tutte oggi, in un solo giorno.

Mano

Ora, come dicevo e come mi sono sforzato di fare, non voglio paragonare le due giunte.
Ci sarebbero già i i presupposti, ma eviterò di farlo.

C’è solo un fatto che mi fa più male di altri, per motivi prima personali e solo dopo più sociali, e cioè la decisione di aumentare lo smaltimento giornaliero di rifiuti nell’impianto di Malagrotta, cosa che ha in queste ore all’annuncio di dimissioni di uno dei migliori presidenti che AMA abbia avuto, che si sta giustamente opponendo al dover accettare per imposizione di far lavorare e guadagnare ancor di più uno che è ancora indagato per la mala gestione dei rifiuti.

Fa male perché chi ha iniziato e concluso queste trattative è chi si è battuto per anni per la chiusura definitiva della discarica. Persone che volevano abbattere il Supremo Avvocato Cerroni, e che si ritrovano praticamente a stringergli la mano unta di soldi sporchi e sangue dei morti di cancro, dicendo pure che gli è pesato tanto farlo.
E la loro giustificazione per me è il centro di tutta ‘sta pippa che vi sto attaccando: dicono che per porre fine all’emergenza, bisogna scendere a compromessi.

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Roma sarà sempre in emergenza, con questo ragionamento. Se messa sotto scacco da chi da sempre ci mangia sopra, sarà sempre ricattabile.
E di conseguenza tornerà, come sta facendo già ora alle vecchie, corrotte abitudini.
A Roma i problemi non bisogna risolverli con i compromessi, con effimere soluzioni materiali ed immediate.
A Roma i problemi si risolvono cambiando la mente dei romani stessi, educandoli, informandoli ed anche sanzionandoli.

Mi viene da ridere quando mi dicono (ed a volte mi ritrovo a pensarlo anche io) che all’estero “funziona tutto, stanno proprio avanti”. Mi viene da ridere perché poi realizzo che loro stanno esattamente dove una qualunque capitale del mondo civilizzato e sviluppato dovrebbe stare, in un perfetto equilibrio di diritti e doveri, venutosi a creare dopo decenni di educazione civica costante, ragionata, sensata.

Noi romani invece abbiamo solo diritti.
Prima di tutto il diritto a fare come fanno tutti, che è un po’ come il vecchio adagio “e ma se ti dicono di buttarti al fiume, tu che fai?” e via, tutti giù.
Poi abbiamo il diritto di scendere dai mezzi prima di tutti, ma anche quello di salire senza far scendere gli altri, così come dalle porte centrali dei bus non si sale “però oh, che faccio, fino alla porta davanti devo arrivare?”.
Ovviamente tutti abbiamo il diritto alla nostra privacy, ma anche quello di urlare al telefono le ultime vicissitudini di nonna Mariuccia e delle sue indomabili emorroidi.
Qualcuno per caso vuole negarci il sacrosanto diritto di ascoltare della musica? Sia mai, soprattutto se ho il diritto tutto mio di sentire l’ultimo singolo di Enrique Iglesias feat. un tipo con la fisarmonica feat. Pitubull.
Senza auricolari ma anzi, con l’altoparlante bluetooth nello zaino.

Il fatto è che non basterebbe solo sanzionare, anche se mi piacerebbe far parte di una ronda che spacca i cellulari alla gente fastidiosa, o manganella sulle rotule chi scende e sale le scale sbagliate nella metro franandoti addosso.
Siete seri? Davvero dico, ci fate o ci siete?
È così difficile andare dove c’è scritto “Ai treni” senza avere paura che sia un punto di deportazione nazista?

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Il fatto è che bisognerebbe educare.
Lo so anche io, che è più facile buttare a terra la sigaretta spenta che tenersi un comodo posacenere portatile che santiddio te li regala l’AMA.
Comprendo benissimo la questione “quanto è comodo abbandonare qui questo sacchetto rigonfio della mia lurida immondizia anziché fare VENTI CAZZO DI METRI fino a quello dopo che è vuoto”.
E, davvero, quanto vorrei anche io lasciarmi andare a quella che deve essere una sensazione bellissima: saltare un tornello della metro o anche solo provare il brivido di salire su un bus senza biglietto. Mi viene la pelle d’oca nemmeno mi stessero sussurrando “Alberto Angela” nell’orecchio. E invece mi tengo strette per le notte peggiori le mie fantasie omoerotiche, e pago 250€ all’anno di abbonamento.
Sono un masochista.

E poi c’è bisogno di regole chiare, di controllo del rispetto delle regole e di sanzioni pecuniarie. Non di banali multe “che tanto c’ho l’amico vigile”, non di semplici rimproveri per un biglietto dell’ATAC evaso, non del vuoto di supervisione contro chi fuma nei parchi: ammetto che lo faccio persino io, è una cosa che proprio non è arrivata a nessuno, in nessun modo.
Non serve uno che ti strilli: al romano devi mettere le mani in tasca sulle cose quotidiane, sulle cattive abitudini.
Una multa da obbligatoria di 5€ colti sul fatto vale mille multe da 100€ inviate per posta.

In chiusura, un paragone con Marino permettetemelo.
Sono arrivato alla conclusione, sconfortante conclusione, che Marino sia stato sì cacciato per faide interne, avversari assolutamente scorretti, un pizzico di sfiga ed una spruzzata di ingenuità, ma che si sia attirato le ire dei cittadini (con la conseguente “rottura del rapporto con i romani” con cui Orfini si è masturbato per mesi davanti allo specchio) da una parte per l’ormai scontata ed abusata “insofferenza” di cui tra l’altro non si ha traccia oggi dopo oltre un mese di disastrosa amministrazione a 5 Stelle, ma anche e soprattutto per la sua volontà di cambiarne le abitudini.
I romani hanno visto nei pochi, positivi movimenti che l’ex sindaco è riuscito a fare, una valanga che avrebbe travolto tutto e tutti. Il famoso vento che ora si dice stia cambiando, ma che lascia solo puzza di monnezza, stava girando davvero.
Ha provato a rimuovere sistemi ormai in metastasi dimenticando però che questi sistemi sono fatti di dipendenti: ATAC, AMA, la Municipale, erano pozzi senza fondo dove soldi e tempo andavano via ogni giorno, tutti i giorni. Tempo e soldi che quando sono stati chiesti indietro a suon di licenziamenti, cartellini da timbrare ed obblighi a fare semplicemente il proprio lavoro, hanno provocato blocchi, proteste, minacce.
E questi dipendenti sono tantissimi, ed hanno famiglie sparse, e poi c’è la maleducazione innata, la mancanza di un rispetto probabilmente mai ricevuto.

Ed è per questo che secondo me le due signore all’inizio avevano entrambe torto.
Perché di certo la prima avrebbe dovuto alzarsi per educazione di base, ma l’altra avrebbe dovuto farlo notare con eleganza, per uscirne a testa alta.
Con l’arroganza, con la maleducazione, per me ti meriti di rimanere in piedi e sperare che tuo figlio non abbia memoria di questo, come dei futuri episodi che certamente avverranno.

Ignazio Marino è stato un po’ come il supplente alle elementari severo ma giusto che a sorpresa entra in classe e trova bambini in gabbia, arrampicati sul soffitto o che tirano le rane vive sul muro: fa la voce grossa, li zittisce, spiega perché è lì e cosa vuole fare. E proprio quando è riuscito ad avere la loro attenzione ed inizia a scrivere alla lavagna, suona l’ultima campanella.
E tutti quei bambini tornano a casa da genitori che urlano scandalizzati, “ma come si permette questo che non è nemmeno un vero maestro a strillare a mio figlio?!”.
E via di accuse, di denunce, e via il supplente.

Tanto domani torna il maestro vero, quello che si addormenta durante la lezione.
Cominciate a tirare fuori le rane.

In Bocca Alla Lupa

Io che mi alleno per i prossimi scazzi sui social.
Io che mi alleno per i prossimi scazzi sui social.

Ieri, dopo il mio post sulla Raggi e sull’avviso di garanzia che pare proprio le arriverà, mi sono stati fatti notare i grandi traguardi raggiunti dal M5S, nonché il ridicolo post della stessa Virginia che provava a difendersi dalle accuse mostrando un documento che attesta la ricezione di nemmeno 2000€ su 13000€ da dichiarare.
Ma tornando al “hanno fatto anche cose buone”, mi è stato fatto notare che:
– si sono decurtati lo stipendio;
– hanno fatto una strada;
– fanno opposizione.

Really
Ma per favore.

Al che rispondo:
“Vanno dichiarati i compensi spettanti, non percepiti. Se non ti pagano è un tuo problema, te la risolvi te, ma tu devi dire quelli che ti hanno promesso nel contratto. Punto, le chiacchiere stanno a zero. E informati meglio anche su di me, non ci si informa a settori e a caso quando appaiono le cose.
Dello stipendio e dellA stradA (una, che dopo manco un mese è stata chiusa perché per due gocce d’acqua stava crollando) ne abbiamo già sentito parlare. Non si sente parlare dei defibrillatori comprati con la parte di stipendio che si levano e su cui hanno messo il marchio sopra, donandoli poi ad una scuola (che grazziaddio ha rifiutato) ripeto: con il marchio vostro sopra. Ma per favore dai, la propaganda fascista faceva meglio.
E fare ostruzionismo su ogni singola cosa non porta sempre benefici, vedi unioni civili e legge “dopo di noi”.”

Dovrebbero farmi santo, a volte.
Dovrebbero farmi santo,            a volte.

Lo scrivo non per rincarare la dose, ma per lanciare un ultimo accorato appello:
Cari Grillini,
oggi probabilmente per voi sarà una vittoria. Schiacciante, minima, io comunque penso proprio che sarà il vostro turno per governare una città vera e propria.
Io giuro che ancora non se, e cosa voterò. Sicuramente andrò al seggio, ma solo nella cabina deciderò se votare uno dei due, se scrivere “IGNAZIO MARINO C’È SOLO UN IGNAZIO MARINO” o “cacca”. Però ci vado perché non voglio responsabilità in merito, e soprattutto voglio avere voce in capitolo quando -sicuramente a breve- mi lamenterò.
Vote
Fatto sta che da domani vi pioverà addosso talmente tanta di quella merda che io già so che mi toccherà pure dire “eh va beh ma non esageriamo”. Perché la macchina del fango voi la conoscete meglio di tutti. Vi siete inventati quella 2.0, fatta di giornalisti da mettere alla gogna e scritte in maiuscolo su chi sta in carcere degli altri partiti. Ricordatevi però che quando esce fuori qualcosa su di voi, tipo un avviso di garanzia, per “ONESTÀ!!1!” dovreste fare un passo di lato, indietro, in alto. Fate voi.
Nessuno è intoccabile, nessuno è puro. Io non mi candiderei mai a nulla di importante, perché mi cacherebbero il cazzo sulle droghe leggere e l’uso improprio di bestemmie, tra le tante cose. E se avete sbagliato qualcosa, come dichiarare di meno, ci può pure stare la buonafede, ma ci sta anche che avete sbagliato e quindi muti. L’onestà prevede anche la bontà di animo nel fare le cose, e non sempre porta a risultati positivi perché spesso si confonde con l’ingenuità, l’essere inesperti che porta a commettere errori, oltre che ad avere il culo dei principianti.
Insomma, una figura di merda la potete pure fare, però poi dovere imparare dai vostri dannati errori. Altrimenti la gente, ogni volta che aprite bocca, reagirà SEMPRE così:
Ops
Quindi adesso sedetevi, respirate, pensate a domani e mettetevi l’anima in pace, perché sarete proiettati in un mare di merda in tempesta, su una zattera che avete fatto al volo con punti esclamativi legati tra loro con cavi di mouse. Ora c’è la vita vera, c’è una città che anche grazie al vostro contributo è precipitata di nuovo in un vortice di magagne e mani unte e occhiolini e contratti chiusi sulla parola. Vi aspetta una popolazione che si stanza subito dopo aver chiesto l’immediato, che già domani vorrà buche tappate ma che con voi per un po’ chiuderà un occhio.
“Diamogli tempo, sono giovani, si devono fare le ossa.”
Beh, quelle ossa ve le farete al punto da rompervele. Perché io ci credo eh, che ci proverete davvero a stanare il malaffare e bonificare tutto. Ma non funziona come volete voi, non si fa ad urla e slogan, con promesse utopiche al limite del grottesco. Roma nun vòle padroni, e non si lascia addomesticare così facilmente.
Soprattutto se non vi siete prima mai fatti annusare.