Che a me piaccia scrivere è fuori discussione: c’è chi si becca i miei improperi su Facebook quasi ogni giorno e pare pure apprezzarli, e c’è chi arriva fin qui per inoltrarsi in un mondo fatto di deliri, dialoghi fuori fase e tante cazzate.
Spesso sfioro il personale, a volte lo buco proprio, in altri casi mi piace scrivere di quello che ho appena visto, o pensato, o pensato di vedere (grazie THC).
Ci sono cose che riempiono lo spazio vuoto di questo status e poi vengono cancellate, che non vedranno mai la luce del monitor né quella della mia memoria, spazzate via in un colpo di Delete.
Poi ci sono cose, e so che ha dell’incredibile, di cui non scrivo. Per decenza, certo, ma anche per scaramanzia, che spesso a dir cose poi sfumano. Però giuro, ho un altro FB di contenuti salvato sul PC che rimarrà così almeno per metà, mentre l’altra metà spera di uscir fuori tra lustrini, pajette e la testa alta. Succederà, se solo avessi una costanza anche solo percepibile, palpabile, o un tipo che ad ogni momento libero che spreco mi spari con un teaser sulla faccia.
Ora, avendo in questo periodo la possibilità di vedere Sky ed ho visto un pezzo di confronto di ieri, tra Roberto Giachetti e Virginia Raggi.
Mi astengo dal giudizio generale, ma a tre giorni dal ballottaggio non puoi sorridere e dire che la squadra non la dichiari perché ti han chiesto riservatezza (quando due minuti prima hai detto che la scegli tu, e solo tu), e perché visto che la stampa ti ha attaccato allora è meglio di no. Non puoi dire con gli occhi sognanti che però è una squadra bellissima e super fica, però non te lo dico.
Dall’altra parte c’è uno di quelli che vi piace chiamare «professionisti della politica», che è vero in tutte le sue sfumature, anche positive. Perché non è un voto di fiducia, non è un voto sugli intenti. Questo è un voto fondamentale per tanti, troppi motivi, ed io devo essere sicuro di votare qualcosa di reale. Perché a votar Giachetti ce ne vuole, ma almeno mi ha dato dei nomi da poter verificare io, con le mia dita. Che verifica è la vostra, se poi confermate una squadra che verrebbe sputtanata in due minuti? Perché volete fare un referendum per tutto (pure per la via da intitolare) e quando si parla di chi dovrà rimestare nel fango di ‘sta città facciamo sorrisi ed occhi a cerbiatto?
Ma sapete quante volte ho detto alla gente che stavo scrivendo un libro? Poi, alla domande
– di che parla?
o
– quando esce?
mi spuntava un cappello da moschettiere tra le mani e gli occhi mi si trasformavano in due pozzi di dolcezza e grassi saturi.
Ho circa una ventina di inizi di libri, in ‘sto PC. Ho materiale per romanzi, raccolte di racconti, rappresentazioni teatrali e sceneggiature di cortometraggi sulla disperazione ed il dolore. Però non faccio partire un crowfunding per finanziarmi il libro, senza dire la trama, o i personaggi, o anche solo dare una sinossi si quello che cazzo succederà.
Chi me li darebbe, i soldi?
Poi oh, oggi io c’ho lo sterminio nelle fibre muscolari, pronto a scattare invadendo la Polonia, però pure voi veniteme incontro.
La mia reazione quando ho letto il post di Giachetti.
Caro Roberto,
che tanto semo romani e se chiamamo subbito pe’ nnome, mica te offenni vè?
Ti scrivo in italiano, che è meglio e così ci capiscono più persone, ché io mica lo so se le persone hanno capito davvero che casino succede a Roma.
Roberto, io sono Romano come te. Ho vissuto per 29 anni a Ponte Galeria, a due passi da Malagrotta, quella che prima che intervenisse Marino era la discarica operativa più grande d’Europa. Poi è arrivato lui, ed ha detto basta all’ennesima proroga di sei mesi.
Ma non voglio star qui a farti la ramanzina su quello che Marino sì, e tutti i suoi predecessori no. Io voglio solo spiegarti una cosa, o almeno provarci.
Ieri tu, o il tuo Staff, avete pubblicato questa foto sulla tua pagine FB. Invito chi legge e che non sa di che parlo a cliccare, che io quello schifo sul mio blog non ce lo metto. In sintesi, hai usato quella tecnica che Alessandro Gilioli sul suo profilo ha perfettamente descritto come “testimonial alla rovescia“: e cioè, invece di pescare tra chi appoggia te preferisce prenderne due “brutti, sporchi e cattivi” che votano l’avversario.
La mia rezione quando ho letto il post di Gilioli.
Caro Roberto, tu ne hai presi due: Alemanno e Marino. Hai preso due loro frasi di (quasi) endorsement alla Raggi ed hai detto “oh, ‘sti due zozzoni la votano, mica vorrete abbassarvi al loro livello”.
Partiamo dal presupposto che su Alemanno manco ci soffermiamo.
Ma tu davvero hai paragonato lui a Marino? Cioè, il primo un fascista della peggio specie, un ladruncolo, un ex carcerato che è stato barricato cinque anni in Campidoglio e per cui non avete fatto NULLA per cacciarlo, mentre il secondo è un chirurgo di fama internazionale che ci si è messo di punta, contro tutti e contro di voi, il suo partito, che lo ha abbandonato prima, ridicolizzato ed accusato poi.
Roberto, io capisco che il vicolo è cieco. Game over, come diceva Renzi ai suoi schiavi quando ha dato il segnale di far cadere Marino. Al ballottaggio hai più speranze di incontrare Elvis andando a votare, che di vincere. E tutto quello che riesci a fare è solo spostare voti verso la Raggi. Magari pure il mio, chissà.
Caro Roberto, io come te sono romano e seppur la vita politica l’ho sfiorata, accarezzata, a volte solo guardata mentre dormiva, vivo a Roma e mi ci sposto, ci vivo, quando ho due soldi ci mangio pure. Il quotidiano è un inferno, la prospettiva a lungo termine un incubo.
E tutto quello che riuscite a fare da un anno a questa parte è solo ed esclusivamente consegnare la città ad altri, spostando l’attenzione e gettando sabbia negli occhi alla gente.
Io con Marino avevo visto un po’ più in là, nonostante gli scioperi bianchi ed i continui, giornalieri attacchi che arrivavano da tutte le parti. Avete massacrato un uomo e con lui i suoi elettori, ed altro non avete fatto che stuzzicare i nostri corpi con un bastone. Ci avete illuso di poter essere un partito lungimirante, e ci avete spezzato sogni e gambe nel giro di due anni.
Caro Roberto, ricordati che se ora sei lì, in un angolo, a prendere destri da tutti insultando la mamma della gente perché non sai dire altro, è anche colpa tua, tua e del tuo partito che ci ha costretto, tutti quanti, ad incazzarci più del dovuto, e a vergognarci quotidianamente per questa città che è di tutti, e non appartiene più a nessuno.
Caro Roberto, ti saluto, con l’augurio che da oggi al 19 i tuoi spot siano più corretti, mirati, che tu riesca a fare il miracolo anche solo per far rosicare i grillini. Ma fidati che al prossimo passo falso, avranno un voto in più che non hanno ricevuto al primo turno.
Ieri sera sono andato a vedere un pezzo di storia delle musica tutta, i Public Enemy.
Boom baby direi, ché io è la scena rap non è che siamo amici ma ci vogliamo comunque bene, e dopo Wu-Tang e Cypress Hill, non potevo perdermi chi ha contribuito a rendere la musica più ricca, potente ed impegnata. E poi oh, hanno fatto «He Got Game», che per me è come vedere la Gioconda dal vivo pure se non conosco tutti i quadri del Da Vinci.
Insomma, grazie principalmente al Emiliano che mi ha prestato i soldi del biglietto pur sapendo che li rivedrà quando avremo un primo ministro grillino, ieri andiamo a Spazio 900. Ce lo avete presente? Sta all’EUR e pare un posto dove farebbe fallire le feste Jep Gambardella. Quindi, l’associazione «negri esperti nell’arte del rap” dentro a «luogo che va bene per la droga costosa” non c’azzeccava molto ma tant’è, c’era il rischio pioggia e poi non è che ci si possa lamentare sempre.
Forse.
Perché quello che ha catturato la mia attenzione, e che mi ha non poco sorpreso, è la gente di merda che c’era. Io concerti rap/hip hop grandi e piccoli me li son fatti. Al chiuso con le svampre d’erba che quasi ti infastidiscono, all’aperto col freddo boia, insomma le classiche situazioni da concerto ma con intorno una fauna a sé. E che di solito è educata, anche perché ‘sti rapper non è che si odiano e si portano le pistole dietro, né son sempre incattiviti e pronti a menarti (tranne una bodyguard di Flavor Fav che stava per sgozzare con lo sguardo proprio Emiliano, che lo ha toccato mentre passava tra il pubblico), e di conseguenza la gente è sempre presa bene, visto che pure i testi vogliono quello: unione, condivisione, e al massimo odio per dei mali che sono sempre più grandi di noi.
Partiamo anche da un presupposto importante però: ieri il mio livello di misantropia oscillava tra il «rimango a casa così non mi incazzo con nessuno» e «esco SOLO per prendermela con qualcuno», che poi è un tutto un rosicamento interno che non è attacco briga. Anzi, abbozzo pure troppo. Diciamo che ero un misto di noia, incazzatura, irritabilità e apatia nei confronti del mondo classico del periodo premestruale.
Quindi, nell’ordine, ieri mi son dovuto subire:
– buttafuori che ci guarda male nonostante stessimo portandogli 150€ di biglietto. Evidentemente è abituato a gente incravattata e con rimasugli di polvere bianca alle narici, noi che al massimo ce l’abbiamo sulle spalle di magliette con le scritte;
– un gruppo di pischelli appena baciati dalla dea barba già ubriachi e fatti come fegatelli alla brace, agitati manco stessero aspettando un carico di corpi umani su cui fare esperimenti con la colla a caldo. Io dico no, ci sta a rompere il cazzo al prossimo ad un concerto, soprattutto se sei sulla terra da dopo l’undici Settembre. Però non è che puoi SOLO, rompere il cazzo alla gente. Non puoi pestarmi i piedi di continuo, sempre, ogni volta che respiri, perché stai ballando su un pezzo che tutto vuole, tranne che tu ti muova come uno affetto da sindrome di Tourette mentre gli sparano peperoncini sul collo con le cerbottane, epporca puttana. Poi, all’improvviso, uno si ferma e si piazza esattamente a a cinque centimetri dal mio mento, di spalle, con i suoi capelli a spazzola dimmerda proprio sotto al mio naso. Immobile, tranne quando ondeggia all’indietro toccandomi appena il petto con la schiena per poi staccarsi, poi di nuovo, poi no, poi di nuovo. E questo nonostante i miei calci dietro ai suoi talloni, e sbuffate di aria calda dal naso proprio in testa. Niente;
– ecco, ‘sta cosa dello stare appiccicati. Parliamone. Senza nulla togliere all’evento, ieri anche sotto palco c’era spazio. Abbastanza spazio da permettere a noi cinque di ricavarci un nostro angolo dove ci siamo messi e dove siamo stati tranquilli e fermi, a vedere il concerto, non a provare ad entrare in simbiosi con la gente. Cazzo. Se intorno a te c’è spazio di manovra, di quello che puoi pure metterti con le gambe un po’ larghe per delimitarne i confini, cristo santo tu non puoi piazzarti coi tuoi talloni sulle mie punte. È fuori logica, irrazionale, è assolutamente incredibile che la gente si porti dietro il suo cazzo di metro quadro di egoismo ed egocentrismo ovunque. Non lo lascia in macchina per sbraitare appena scatta il verde, non in ufficio per sentirsi migliore di tutti, non se lo tiene in tasca per sicurezza. No. Bisogna sempre averlo sotto ai piedi, piccolo orticello portatile da usare come scusa quando non si sa vivere nel mondo, quando l’educazione manca come il respiro quando realizzo quanta gente stronza c’è al mondo;
– e poi, ultimo punto, che so di aver già toccato ma che proprio io non ce la faccio: i cellulari. Regà, ‘sti cazzo de telefoni. Basta, ve prego. Già i Public Enemy ieri v’han chiesto di tirarli fuori, non c’è bisogno poi di averceli sempre tra le mani. Mani che lo tirano su e lo tengono, su, per troppo tempo. Io non posso vedermi un lvie attraverso i display per dio, sennò sto a casa e poi mi vedo i vostri cazzo di video di merda. Non potete sempre mandare note vocali. Io capisco chi lo fa una volta perché le manda al fratello fuori dall’Italia e fuori per il rap, davvero. Ma avete TUTTI una persona fuori dall’Italia? Tutti avete qualcuno a cui mandare metà concerto via note vocali, che tanto quello che gli arriva è un fruscio fortissimo, i piatti che sgranano e la voce di uno che va e viene di continuo? Dai. E poi le foto, i seflie, gente che sta con la faccia sul cellulare mentre sul palco si fa la storia. Eccheccazzo. Una, foto. UNA. Io ve lo dico, regolatevi, che è un attimo che uno sbrocca davvero e ve li fionda sul muro.
UNA foto.
Insomma, ribadisco la mia non predisposizione alla vita sociale, ieri sera come spesso mi accade ormai ad eventi affollati. Sarà che me sento pure un po’ stocazzo eh o forse che penso troppo, però mamma l’educazione me l’ha insegnata e me la porto dietro sempre, che sempre serve. Dovreste imparare pure voi ad essere un pochino più educati col mondo, un po’ più rispettosi (lo so, ci provo) verso il prossimo. Poi uno i momenti suoi ce li ha sempre eh, però cazzo, se state davvero così tutti i giorni l’estinzione è vicina, ed augurabile.
(e davvero, gran cazzo di concerto, stra contento alla fine di aver visto per la prima volta quei mostri ed un poco di Gigi Egreen Fantini che mi fa sempre volare altissimo)
Avete mai visto «Hollywood Party»? Spero di sì, cristo.
In pratica c’è Peter Sellers che interpreta un attore indiano, una comparsa in realtà, ed è la persona più impacciata che ci sia. All’inizio del film, interpreta il ruolo di questa specie di beduino che deve difendere il suo avamposto nel deserto. Diviso in più scene, si vede tutto il suo essere distratto, incapace ed egocentrico, suscitando comunque compassione ed allegria nello spettatore: non muore nonostante decine di colpi fucile ricevuti mentre avvisa con i suoi compagni la tromba, agonizzante ma vivo fino al ridicolo in cima ad una montagna; si fa beccare con un orologio da polso durante le riprese quando il film è ambientato a fine ‘800; e nella scena madre (e siamo solo al primo quarto d’ora del film) per allacciarsi il sandalo fa saltare in aria un intero castello, subito dopo l’avviso del regista che annunciava come la scena potesse essere girata una, ed una sola volta.
Il film poi prosegue con il party vero e proprio, dove Sellers viene invitato per errore.
Un capolavoro di comiche, in alcuni punti un film muto bellissimo.
Ecco, ci ho pensato oggi leggendo tutti ‘sti endorsement a Giachetti per il fatto delle Olimpiadi, o della crisi di nervi della Raggi sul referendum (!!!) per lo stadio.
Io penso che agli occhi degli altri, Roma risulta come Peter Sellers in «Hollywood Party»: appena ci danno il ciak per provare a fare qualcosa di concreto (la fine di Alemanno, Marino, la sua cacciata, un commissario che manco Basettoni, ora il primo turno, e mò il ballottaggio) l’attenzione si sposti sempre su altro.
Perché mentre si scannano su cinque cerchi ed un pallone, oggi non leggo loro dichiarazioni sul fatto che la metro passava con la stessa frequenza con cui Luca Giurato azzecca cinque frasi semplici di seguito. E sapete la causa? Pare abbiano sbagliato a montare le ruoete sui vagoni. Capite? Due linee e mezzo di metro (una Lione a caso ne ha quattro, e sei volte in meno gli abitanti di Roma), e questi sbagliano a montare le ruote.
Proprio come dover girare una scena di pochi secondi, e topparla clamorosamente tutte le volte. C’è sempre qualcosa di più piccolo e importante che ingigantiamo fino a saturarcene i coglioni per due settimane. Poi di nuovo via, un’altra scena brevissima che si protrae per giorni perché arriviamo sempre in ritardo, o perché ci squilla il cellulare durante le riprese.
Stiamo trasformando questa città in una tragedia dai mille atti, passando per una commedia da due soldi con un finale più che scontato.
“Avrai pure vinto l’Oscar, ma la Winslet ancora non te la scopi.”
Ora che Leonardo nostro ha vinto l’Oscar, possiamo concentrarci su altre opere rimaste incompiute, traguardi ancora non raggiunti, usanze da eliminare. Cose che hanno tutte le carte in regola per diventare i prossimi tormentoni da qui alla loro realizzazione.
Tipo:
– impedire ai vip di dare nomi del cazzo ai figli. Basta con Falchi, Civette, Oceani, Tettoniche a Zolle (nome composto). Da quel giorno sarà vietato dare nomi di merda alla propria prole, pena una pensione minima e la radiazione dall’albo delle celebrità;
– beccare quel coglione che ancora scrive “Lulic ’71” in giro per Roma, obbligandolo non solo a cancellare le scritte, ma a sostituirle con “M’illumino d’immenso”;
– eliminare l’adesivo “Vaticano” da sotto alla fermata di Lepanto sulla metro A di Roma. Perché non è vero che ferma a San Pietro. Quindi o fai la fermata alla Basilica, oppure rimane Lepanto e basta;
Che pecionata.
– far eliminare ‘sto cazzo di cetriolo da ogni cocktail che chiedi. Perdio, ma che è successo, c’è stata una sovapproduzione di ortaggi fallici che vi permette di metterlo pure nell’acqua? È esploso un Boeing pieno di semi di cetriolo sopra una vallata di merda di mucca?
“Ciao volevo una media chiara.”
“Con o senza cetriolo?”
“Dipende dove lo metti, pazza!”
– far fare un altro giretto a Padre Pio. Stavolta in piedi però, e che si muova con le sue gambe. Sennò di che miracoli parliamo?
– cominciare a poter chiamare le suore pinguini senza per questo essere giudicati come blasfemi;
– poter camminare sulle macchine che parcheggiano sulle strisce, o che ci frenano sopra mentre c’è il pedonale verde, ovviamente avendo sempre con sé delle comode scarpe da alpinista;
– poter tagliare la mano a chi viaggia senza biglietto. Su ogni mezzo pubblico di ogni regione;
– poter bannare dalla vita reale, per un periodo di trenta (30) giorni, chi pubblica bufale. Il ban va scontato dentro una stanza, nutriti di solo pesce, con tutto il repertorio video possibile di Piero&Alberto Angela che spiegano tutto. TUTTO;
– riuscire a riportare a casa i Marò, soprattutto oggi che abbiamo un giorno in più almeno per pensarli;
La cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi. La curiosità esiste per ragioni proprie. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell'eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po' il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità. ( Albert Einstein )