Improvvisate#7: Una Favola Di Corsa [Morale Included]

loverunmain

18:25

Paolo si siede sul letto e si allaccia le scarpe nuove. Strette, che quasi gli si ferma il sangue nelle caviglie.
Maglietta e pantaloncini sono sempre gli stessi. Ogni sera, tornato dai soliti cinque chilometri di corsa, lascia asciugare un’ora i vestiti e poi li mette in lavatrice. La mattina dopo li ritira dal balcone e li lascia piegati accanto all’asciugamano.
Lo stesso asciugamano che ora prende e si mette intorno al collo.

18:27

Si ferma un secondo allo specchio, e come tutte le sere rinuncia subito ché tanto dopo sarà zuppo di sudore e sistemarsi i capelli ora sarebbe come lavare la macchina con il cielo carico di nuvole nere.
Si leva il braccialetto in cuoio comprato anni fa in Salento, lo poggia sulla mensola accanto allo specchio. Comincia a correre sul posto a passi lenti e regolari, si gira e mette la mano sulla maniglia.
Il cuore gli batte già forte.
Ma non per la corsa.

18:30

È all’angolo della strada, il piccolo incrocio che si forma con la fine della sua via e la strada principale. A quell’ora non passa un macchina, e l’unico pericolo arriva dallo stanco 906 che ogni tanto arranca tra le viuzze dei complessi residenziali.
Paolo continua a correre sul posto, guarda l’orologio ed i secondi fanno per arrivare a fine giro, quando sente i passi.
Li riconoscerebbe in mezzo alla maratona di New York.
Alice gira l’angolo della strada principale, guardando l’orologio. Alza lo sguardo che si schianta con quello di lui.
Si sorridono mentre lei si avvicina, e quando è ormai accanto a Paolo, lui da fermo fa qualche passo in corsa goffo, per prendere il ritmo con lei, e partono insieme.

18:54

Parlano, e tanto. La corsa ormai non li scalfisce più.
Quando s’incontrarono la prima volta, sempre correndo, non si scambiarono un parola. Ancora non si spiegano perché cominciarono a correre insieme, tra l’altro non erano e non sono nemmeno gli unici a farlo. Ma tant’è. Cominciarono e senza darsi appuntamento regolarono i loro tempi naturalmente, fino ad arrivare ad incontrarsi ogni sera alle sei e mezza. E negli ultimi tre mesi non c’è stato giorno in cui non hanno corso insieme.

19:12

Sono seduti a terra, all’angolo dove si incontrano.
Col fiatone, sudati, e col sorriso.
Si passano una bottiglia di integratori al gusto mirtillo, e continuano a parlare.
Si guardano e si raccontano la loro giornata, spettegolano sui rispettivi colleghi.
Alice sa che Paolo non è uno che di solito parla molto, lo ha capito.
All’inizio aveva enormi difficoltà, e lei ha sempre assecondato i suoi silenzi non parlando a sua volta, o raccontandogli cose stupide per farlo sciogliere.
Ci era riuscita. Ed era molto bello vedere il mondo con i suoi occhi, fatti di quell’ironia mista a cinismo che le piaceva tanto.

20:44

Sono abbracciati a letto.
Finalmente.
Era stata lei a saltargli addosso, interrompendolo e facendo quasi cadere entrambi sull’asfalto.
Si erano tolti i vestiti appena entrati dentro casa di lui, dopo un’adolescenziale corsa mano nella mano attraverso il giardino.
La scia di intimo, pantaloncini e scarpe da corsa portava al materasso in terra, con una piccola abat-jour che aveva appena illuminato il loro corpi in movimento, proiettando le ombre delle loro schiene curve e delle gambe di lei proiettate verso il cielo.
Ora l’ombra era del fumo di una canna, che bello correre e la salute ma il vizio perché levarselo, e dei loro corpi distesi ed abbracciati.
Non parlano, non ce n’è bisogno.
Non ora.

18:30 (del giorno dopo)

Paolo corre sul posto all’angolo, un sorriso ebete che cerca di scrollarsi via stampato in faccia.
La aspetta, questa volta con il cuore che batte quell’attimo in più ancora.

18:32

Da lontano una macchina fa strillare le gomme.
Paolo, che già non sorrideva da due minuti buoni, sorride ancora meno.
La macchina imbocca la strada principale, e lo punta.
A pochi metri da lui inchioda, fari smarmellati al massimo.
Lui si copre la faccia con le mani, mettendole tra lui e la macchina.
La portiera del guidatore si apre, un piede sinistro si poggia a terra, la mani si aggrappano a sportello e tetto e la testa di Alice spunta.
Imbronciata.
Anzi.
Avvelenata a bestia.
Lui non fa in tempo a dire nulla che lei gli punta il dito contro e grida:
“Tu sei unammerda!!”
Risale in macchina, sgomma e riparte.
Paolo rimane a guardare lì, dove prima c’era la macchina. Non la segue nemmeno con lo sguardo.
E in tutto ciò, si accorge solo ora di una cosa: sta continuando a correre sul posto, e non ha mai smesso di farlo per tutto il tempo.

Morale:
tieniti sempre pronto a scappare perché LE DONNE SONO TUTTE MATTE.

Improvvisate #6 – Era Maggio, Ora È Peggio

Quella sera stavo in gran forma. Ma forte eh, della serie “look at me, I’m an attention whore”.
Camicia bordeaux, cravatta nera e umorismo da vendere.
Il locale non lo conoscevo, zone tipo Via Candia e robe così per me sono tutt’ora out.
Devo abbassare la testa, fare qualche gradino per ritrovarmi in un posto carino fatto di legno e pietra. Il nome c’entra qualcosa con le fate, ed in effetti il posto di presta.

Siamo una decina, la maggior parte non li conosco ma mi trovo bene. Ci prendiamo ‘sto tavolone in legno grande, e mi siedo schiena all’arco che devi attraversa per entrare.
Si chiacchiera molto, si ride di più.

Ad un certo punto C. alza lo sguardo oltre le mie spalle ed inizia a sorridere, e grida felice il tuo nome. Quel nome che ancora non so ma pronuncerò, strillerò, urlerò millemila volte dopo quella sera.

Ci presentiamo, e sento qualcosa di forte. Strano.
Qualcosa di sopito, nascosto nella polvere di quei mesi brutti.
Probabilmente sono solo ormoni, ma in mezzo a quel mucchio di cosetti arrapati c’è qualcos’altro.

La serata s’impenna, ci si diverte tantissimo.

Scoprirò solo dopo qualche tempo che ne avevi un gran bisogno, di ridere. Che pure a te quei mesi stavan lasciando segni brutti, e proprio quella sera tornavi da una situazione del cazzo.

L’ultimo ricordo che ho di te, legato a quella sera, è del momento in cui rientro in macchina di C. Ricordo perfettamente che mentre mi mettevo seduto pensavo a te. Mentre allungavo la mano per prender lo sportello, e mentre lo chiudevo, io pensavo a te. Le prime parole uscite in macchine, mentre mi giravo la sigaretta un po’ brillo, sono state per dire “un sacco simpatica l’amica tua, proprio tanto”.

Sono passati cinque anni, e se ci penso mi sento male. Per un sacco di motivi.
Di tante cose che ricordo, il giorno esatto in cui finalmente uscimmo da soli non lo ricordo. Ricordo il ponte, l’Africa, i passi in sincrono e la tensione per i tuoi esami.

Dovrebbe essere domani, o forse era due giorni fa. Ricordo ma non ricordo.

Il resto è storia.

E che storia.

E Poe Sia – Ben Venga

casa
cena
amici
disoccupazione
lutto
viaggio
silenzi
lacrime
assenza
tu
occhi
mare
Stretto
pazienza
amore
sorrisi
Angelo
alcool
abbracci
ghigni
spallate
scontri
urla
addii
blackout
confessioni
comprensione
ritorni
partenze
Termini
Berlino x3
aerei
attese
birra
alcool
erba
“piacere Jacopo”
“ti amo”
“coglione”
“perché?”
Breaking Bad
Le Cool
dischi
libro
scrivere scrivere scrivere
Poe Sie
novità
sorrisi
armistizio
sguardi
intensità
paura
insicurezza

‘sticazzi
me butto?
non so
ma intanto
quest’anno
è finito
che tanto
cambia solo
il numero
alla fine
e noi
non cambiamo mai
nemmeno di una virgola

quest’anno
zero propositi
che tanto
non li rispetto mai

anzi uno
uno solo
lo faccio
di star bene
tutti
almeno un po’
almeno nei momenti giusti
almeno insieme a chi se lo merita
giusto un po’
quel che basta
per arrivare alla prossima mezzanotte
indenni

lontani
ma indenni
che i fuochi
se li guardiamo insieme
son diversi
ma lo sfondo
quel cielo nero trapuntato per te
e quello artificiale di luci per me

è lo stesso

che insomma
in questo modo
abbiamo qualcosa in comune
andrebbe bene anche in Provincia
al massimo in Regione

tiè

però ecco
come vada
vada
che si possa avere qualcuno vicino
se non tutto l’anno
almeno quando fa un sacco freddo
quel freddo che ti rinfacci i piedi gelidi
da mettere tra le gambe dell’altro
almeno
quando fa troppo caldo
che ti si appiccicano i corpi
mentre si amoreggia
e fai quella scorreggetta coi petti
che il mio s’incastra
e il suo pure
e non puoi far altro che ridere
e amare

ecco

il mio augurio per tutti
che ci siano più rumori di sesso
e meno urla d’incomprensione
più scorreggette
più molle che cigolano
più incitamenti
più eccitamenti
più punti G
più sguardi in quel monento
più sigarette
più “è stato bellissimo”
e anche più
“non mi è mai successo prima”

l’importante

è che si scopi

tutti

un po’ di più

e se fra quel “tutti”
ci sono anche io

ben venga

il 2014

Harry_Sally

Ma Tu Non Pensare Male Adesso

La mi controfigura ti aveva scritto un canzone, tempo fa.
La mia controfigura ti aveva scritto un canzone, tempo fa.

Difficile spiegare perché sono così contento.
Ballo da più di due ore, ballo della serie “fallo come se nessuno ti stesse guardando” ma è una cazzata, perché ci saranno almeno altre 400 persone intorno a me ed è difficile immaginarsi soli. Però ballo, e poi guardandomi intorno vedo che anche tutti gli altri stanno seguendo il dogma del passare inosservati. Con risultati disastrosi, tra cui probabilmente anche il mio.
Ma ballo.

Che poi non sono due ore, ma due sere. Ieri Angelo, oggi Angelo.
Ieri sera siamo andati via col collo piegato dalle risate. Risate perché presi bene, presi bene perché quando una pischella rimbalza dai tuoi jeans a quelli del tuo migliore amico a così via già ti immagini da vecchio, con i tuoi nipotini seduti uno per gamba, davanti al camino acceso, mentre gli racconti di quella sera quando tu e il tuo amico vi siete montati una in due mentre vi davate il cinque alla Todd. I tuoi nipotini avranno traumi sessuali per sempre, ma ormai erano rimasti solo loro a non sapere la storia.
E la storia è importante.

Inutile dire siam tutti tornati a casa a pacco asciutto ma tant’è, ne sono valse le risate e gli sguardi e la anche remota possibilità di timbrare due biglietti in uno.

Stasera siam di nuovo qui, dopo un bellissimo concerto. C’è Bob che pompa i suoi dischi e noi a ballare. La situazione è simile alla sera prima, con la stessa pischella che aggiunge solo un altro paio di persone al suo carnet ma per il resto siam qui, a divertirci e pure parecchio.
La mia serata non è iniziata serena, questo sì. Non posso negare che mentre il gruppo suonava, più di una volta mi son girato per guardare se fossi lì in mezzo. Potresti esserci, forse non ci sei, ma io controllo. Non so se sperare di beccarti o meno. Forse no. Anzi molto probabilmente no.
No.
Però ti cerco, forse perché così potrei nascondermi e mandar giù questo Gin Tonic con tutto il bicchiere.

Solo che è proprio mentre do un’ultima occhiata in giro, a serata quasi finita, che incrocio un paio d’occhi che c’è da mettersi seduti per riprender fiato.
Lì per lì avevo notato la tua amica, ma più che altro i suoi occhiali enormi da clown e per la voglia che avevo di rubarglieli. Mentre mi guardo intorno per attaccare, mi giro e tu mi stai guardando. Uno di quegli sguardi che distogli subito perché “m’ha beccato”.

Ora, se lo struscio malizioso ed aperto al pluralismo di quella ragazza mi metteva in imbarazzo ma alla fine capisci il gioco delle parti e ci stai, il tuo sguardo di ieri m’ha paralizzato. I tuoi, sguardi.
Da baldanzoso maschio che non sa muoversi ma lo fa lo stesso, regredisco allo stato embrionale: comincio a giocare col bicchiere lanciandolo in aria e rischiando di rompere crani e coglioni altrui.
Mi giro, mi stai guardando.
Faccio giravolte, passetti, impreco a denti stretti perché non ho il coraggio di venir lì sugli spalti a blaterarti qualcosa, tipo la situazione del Nasdaq o se sei convinta anche tu che gli SMS di solidarietà siano una truffa.
Mi giro, mi stai guardando.
Continuo a ballare nonostante la musica stia finendo, le luci siano accese e quindi, in questo momento, sono un coglione di quasi un metro e novanta che balla seguendo le voci nella sua testa.

Mi giro, non ci sei più.

Cazzo.

Comincio a muovere la testa manco fossi un androide in corto circuito.

Dove sei?

Cerco quegli occhi, quei capelli corti biondi e quel viso sicuramente non terrestre. Ti assicuro che con quello sguardo mi hai quasi spaventato. Cerco quel vestito (viola?), quella borsetta nera. Cerco pure la tua amica degli occhiali, o quella riccia con cui ad un certo punto scrutavi la sala, con io che ero lì a zompettare come un lemure nel periodo dell’accoppiamento. Ti sei messa pure gli occhiali da vista. Montatura celeste, se non sbaglio.
Ma non ci sei.

Bevo un’ultima cosa, maledicendomi e mordendomi labbra e gomiti e orecchie.

Un abbraccio a tutti, usciamo. Fuori dall’Angelo ci salutiamo, e mentre il giro di “se beccamo ar kebbabbaro” continua vedo la tua amica riccia.

Ti cerco, di nuovo.

Niente.

Stupido me stupido me.

Sarà impossibile vederci di nuovo, quindi ti ringrazio per avermi fatto innamorare di nuovo dell’idea di essere innamorato. Il nemmeno troppo nascosto sedicenne che è in me ti è debitore, e ti vorrebbe offrire da bere Venerdì. All’Angelo.

Che la magia della casualità e della botta di culo facciano il loro corso.

Rome Rider

Edizioni rarissime.
Edizioni rarissime.

Abitare a Roma, per tutta una serie di motivi, non è proprio il massimo.

Si ok, i monumenti e l’atmosfera, il cazzo che vi pare. Ma ormai il quotidiano romano equivale ad essere messo in una stanza con le migliori pornostar del momento, ma legato ad una sedia. Ci sarebbe tanto da leccare, ma non puoi.
Qualche minuto fa, mentre rientravo a casa, mi sono immaginato Roma, ma soprattutto la mia zona, come un videogioco. E nonostante abbia alle spalle praticamente venti, onoratissimi anni da videogamer, non sono sicuro di poter riuscire a finirlo, ‘sto gioco qui.

Inizia la mattina, con la sveglia. Ecco, questo è il tutorial, il livello che fai senza rischiare di morire e dove una voce metallica di donna ti guida passo passo.

“Apri gli occhi. Bravo! Ora, se vedi un poco appannato, non preoccuparti: ti sei appena svegliato, è normale! E poi se continui ad andare a dormire come se fossi John Belushi mezz’ora prima di morire, ringrazia dio che ti svegli!!

Grazie, tutorial. È sempre un piacere.

“Figurati. Ora fai un breve riepilogo mentale di quanto fa schifo la tua vita, e poi piedi in terra! Forza! Perfetto, così. Ora, muovendoti a destra e sinistra, evita nell’ordine: il termosifone elettrico, quattro paia di mutande, cinque di calzini più quei tredici spaiati.. così, bravissimo!! Ora allunga la mano ed apri la porta, ma prima preparati all’impatto con la luceeeeeeeee appunto. Aspetto che finisca la cecità. Rielaboro. Ok, possiamo andare.”

 

E così via, fino a quando quell’insieme di pipì/macchinette del caffè/cacca/dentifricio/tuffo nell’armadio cosparso di colla diventi un tu, magari un poco diverso dal giorno prima ma comunque incastrato nello stesso, identico livello.

Nei videogiochi, ci sono punti di un quadro che devi ripetere per ore: un salto in Prince of Persia, una curva a Gran Turismo, una Sniper Wolf a Metal Gear Solid o una combinazione di tasti a Fahrenheit. Il tutto corredato da lanci di joypad e fitte precipitazioni di madonne con improvvisi rovesci di cristi. Piano piano, però, riesci a capire angolazioni, tasti, momenti giusti fino a quando non superi quel punto e via, più felice e più saggio, verso il nuovo ostacolo.
Nella vita, idem.

Uscito di casa, devi prendere l’autobus. Chi prende la macchina è a livello extreme, ed io non ci gioco mai al livello extreme perché rosico troppo.

L’autobus è come una di quelle pedane mobili dei platform, come in Crash Bandicoot. Arrivi alla fermata e come con le pedane devi beccare il momento giusto per saltarci su, sperando che non sia appena passato perché altrimenti devi aspettare troppo e rischi che scada il tempo. Quando c’è sciopero, è una parte del livello a difficoltà hard e solo dopo anni d’esperienza puoi risolvere grazie a trucchi come il passaggio a scrocco o la carta lavoro da casa.
Inoltre, sulla pedana-autobus corri il rischio di trovare un boss, il controllore. Ma io ho il mio scudo protettivo annuale, la carta Metrebus. È uno di quegli accessori che non acquisisci con il tempo, ma con i soldi sullo store dell’Atac.

Viaggiare su un autobus di periferia significa reggere l’impatto con una media tripla di buche rispetto a quelle del centro. Ce ne sono così tante che a volte mi salta l’iPod come se fosse un lettore cd.
Questo punto, come i ritardi e la maleducazione degli autisti, si supera con l’abilità Santa Pazienza, una delle più difficili da acquisire al 100% ma anche una delle più utili in quanto, per esempio, impedisce di dare in escandescenze come i matti a Termini ed evita il conseguente arresto per atti osceni in luogo pubblico.

Diciamo che mettiamo il gioco in pausa da quando entrate a lavoro o dove cazzo passate le giornate fino a quando ne uscite.

“Allora? Che facciamo? Qui si deve ricominciare!!”

Checcazzo tutorial, avvisa. Mi hai svegliato.

“Appunto. Forza, prepara lo zaino e via dall’ufficio. Sai cosa dobbiamo fare.”

No dai, oggi no. Guarda, dormo qui. Mi metto sotto la scrivania.. oppure metto un po’ di scatole vuote schiacciate a terra, eh? Che dici?

“No. Forza, in marcia.”

Ennò su. Facciamo così: vado a prendere del vino, un paio di pizze e stiamo qui a parlare.. nemmeno ci conosciamo!!

“Certo, che non ci conosciamo. Non ci conosciamo perché io sono una voce nella tua testa, e non puoi conoscere le voci nella tua testa. Né tantomeno offrir loro del vino sperando poi in chissà cosa.”

Ah no?

“No. Possiamo andare, ora?”

Andiamo.

Uscito dall’ufficio, entri in modalità Hard: sei stanco, hai perso punti energia ed hai bisogni di salvare i progressi fatti.
Prima di tutto, devi attivare subito l’abilità Visione NotturnoPeriferica, per avere una vista ottimale dato che ora fa buio alle due di pomeriggio, ed anche la più ampia possibile per evitare le mine disseminate lungo il percorso.
E per mine intendo merde di cane. Decine, di merde. Che poi, cane. Magari fossero solo di cane.
Fatto sta che queste enormi montagne di merda che manco il dottor Grant di Jurassic Park ha visto mai sono ovunque, alcune negli stessi punti di qualche ora prima alle quali se ne sono aggiunte altre ancora.
Pensi al gioco dei giochi, Campo Minato si Windows, e vorresti mettere bandierine su bandierine.
Non sulle merde eh, ma nel culo dei proprietari dei cani.

Poi devi aspettare di nuovo la pedanautobus, e non capisci il perché ma sempre, da sempre, la sera in quella zona passa una tua pedana ogni tre, quattro pedane degli altri. Che mica puoi prenderne una a caso, altrimenti rischi di andartene dritto in un livello che non conosci. E poi come torni?
Insomma aspetti, e intanto completi qualche piccola missione complementare: fumare una sigaretta, appuntare un’idea sul taccuino, guardare più culi possibili senza farsi beccare, tipo il fantasmino di Super Mario Bros. 3.
Ecco la pedana, che a quest’ora è piena di altri giocatori, e dalle facce di vincenti ce ne son pochi.
Mentre sopporti l’ennesimo tour di buche che sembra un massaggio shiatsu fatto da una pressa idraulica alimentata ad anfetamine, cambia la musica.
Quello che prima era un motivetto ripetitivo in midi, diventa un insieme di violini che scandiscono il tempo in crescendo, facendo salire la tensione: è il momento del boss.

A differenza dei boss classici dei videogiochi, che solitamente sono o mostri giganteschi sputa morte o personaggio super intelligenti che sarebbe più facile battere a scacchi il Deep Blue della IBM, il mio mostro finale è una serie di ostacoli uno dopo l’altro, accomunati da un’unica cosa: il buio. Perché i lampioni che funzionano, a Ponte Galeria, li danno solo nella versione deluxe.
Tali ostacoli, nell’ordine, sono:

– l’autista che potrebbe non sapere dov’è la fermata e quindi tirare dritto, visto che fino al turno prima ha fatto la navetta circolare del Gianicolo, e perché sul rettilineo tutto dritto con un mezzo che pesa mille milioni di chili che fai, non vai a 180? Evidentemente lui sta giocando a GTA.

Ma diciamo che si ferma in tempo.

– devo attraversare la strada. Ripeto, è buio pesto, c’è un rettilineo che nemmeno quello nel circuito di Catalogna quindi  se l’autobus correva, immaginate le macchine. Fari che da punte di spilli si trasformano nelle luci dell’astronave di E.T. in due secondi netti, DeLorean che sfrecciano a mezz’aria gareggiando con i veicoli di Wipeout. Attraversare la strada è come farlo in Frogger, solo che non vedi in tempo quando arrivano.

Ma oggi è il mio giorno fortunato, ed attraverso la strada.

– il cane della cava e il cane dei vicini. Ammetto che non mi è mai successo di trovarmeli davanti entrambi nello stesso momento. Ma singolarmente sì, e visto che il primo è un pastore tedesco addestrato da polacchi ignoranti come italiani ed il secondo un Rottweiler che hanno chiamato Kabul, preferirei trovarmi davanti dieci cani zombie di Resident Evil da uccidere a mani nude piuttosto che doverli affrontare, da soli o meno.

Quindi qui va tutto ok come sempre, e riesco a salire fino a casa. Devo solo superare la pozza (e puzza) di fogna che spurga dal muro di alcuni vicini, i quali hanno deciso che loro non lo riparano e che tutti dobbiamo indossare maschere tattiche come in Call of Duty.

Insomma, non è una passeggiata, ma devo dire che ogni giorno perfeziono il metodo e curo lo stile, così da superare al primo colpo ogni ostacolo e metterci meno a studiarne di nuovi.

Che nonostante tutto, alla fine, ‘sto pallosissimo, enorme gioco è pieno di stanze segrete che compaiono a sorpresa, ti fanno felice anche solo per un po’ regalandoti cuoricini e dolci e funghi e gemme, e ti ricaricano prima di ricominciare a saltare di pedana in pedana, di livello in livello, di boss in boss.

L’unico vero obiettivo missione, in fin dei conti, è quello di arrivare il più tardi possibile al game over, possibilmente pieno di monete e cuoricini.

 

Momento cLou

Tutto il bene per tutto il resto, ma a me rimarrai per sempre nel cuore per questa, e per quei momenti: