E Nessuno Ne Spoilera – 1×01

Considerando che:

– chi mi segue da un sacco (ciao Mamma!) sa che inizio rubriche che durano di media tre puntate quindi state tranquilli che ‘sta cosa durerà poco, ma almeno ci divertiamo;

– scopro ora che in Italia ENSS, acronimo del nome della rubrica, con una S di meno starebbe per Ente Nazionale Sordi, e che le recensioni che verranno non contengono suoni e comunque ci sono i sottotitoli nei link che metto, come casco casco bene;

– magari parlerò di serie che chi sta più infoiato di me (e cioè il 90% di persone con un account più o meno legale per lo streaming) sta vedendo o ha già visto o di cui ha già sentito parlare. È per dire che non sto qui a fare il recensore, né la guida catodica a nessuno. Se pensiamo pure che ancora non ho visto roba tipo Peaky Blinders, Mad Men, The Marvelous Misses Maisel o nulla della Marvel o di Star Wars, confrontarmi con chi ha roba da consigliarmi sarà sempre il benvenuto. Poi magari non la vedo, però a segnare segno tutto;

– magari ci scappa pure qualche film, ma il mio cervello preferisce distribuire dozzine di ore di serie TV su altre dozzine di giorni, piuttosto che concentrarsi due ore in una sera, quindi boh poi penso a qualche film;

– magari scrivo di puntate viste giorni fa, senza averle riviste e quindi sì, chissà se quello che scrivo è esattamente così;

– come dice il titolo di sicuro ci scappa qualche spoiler ché, ripeto per quelli che ancora non hanno letto tette o Putin nel testo fino a questo momento, non sono un recensore. Sono un fattone che pensa di avere sonno da perdere per scrivere cose che il giorno dopo leggeranno i soliti (ciao Mamma!) e che non contribuiranno in nessun modo alla sua già inesistente fama né a un dibattito pubblico sulla questione;

dichiaro che possiamo iniziare con la prima puntata della rubrica “E Nessuno Ne Spoilera”, dove andrò a dire la mia (assolutamente non richiesta) opinione su serie TV e magari qualche film di cui nessuno pare stia parlando. Che se andassi a fare una ricerca su Google scoprirei che è roba candidata a tutto, ma sono pigro, in fotta di scrivere e perché no, un poco arrogante ad andare controcorrente. E comunque sì, sto vedendo Dahmer ma la devo diluire con altro sennò finisco in uno dei tanti gay club di Lisbona a cercare la mia prossima preda.

The Patient

A me piacciono un sacco le serie che mi insegnano qualcosa, o che mi toccano per qualche motivo da vicino, o che comunque le guardo e dico “ah vedi, qualcosa di originale” solo che sto da solo e quindi mi zittisco, che voglio seguire la puntata. In questo caso ho visto che c’era Steve Carrell ma che la locandina non faceva intuire nulla di divertente, quindi ho messo play.

Praticamente Alan (Steve Carrell) è uno psicanalista ebreo che pare sia bravo (che sia ebreo è sicuro, fa molto parte di tutta la serie, fino ad ora) e che vedi districarsi tra i suoi pazienti con un montaggio serrato di persone che gli raccontano i cazzi loro, intermezzati da una signora che gli fa le condoglianze, e questo ragazzo suuuuuuper creepy con i classici occhiali da sole che se compri solo se sei un serial killer o Walker Texas Ranger e non essendo il ragazzo chiaramente né Chuck Norris né un lontano parente, capisci che c’è qualcosa che non va.

E infatti quel qualcosa è ‘sto pischello che rapisce Alan e lo incatena in uno scantinato vicino a un letto, un paio di contenitori per pisciare o fare la popò, e a un sedia con un tavolino davanti. In breve, si capiscono due cose: la prima è che Sam, lo psicopatico, sta in fissa col cibo orientale e ogni sera torna con roba diversa e così particolare che i nomi li pronuncia e tu ti fidi. Non è mica come uno che dice sushì con l’accento sulla i e non su la u e tu lo prendi per il culo. Cioè, pare che ne capisce.

La seconda cosa è che s’intende (perché glielo dice) che Sam vuole fare terapia ché lui è matto vero e ammazza la gente. Il padre lo menava forte e poi è scappato, la madre per carità una santa tant’è che sa tutto di ‘ sto fattaccio del figlio assassino e rapitore e quando vede Alan mica lo libera ma piange e dice “e sì lo so Sam sta fuori di testa ma o così o mica posso fare tutto io eh? e i panni, e piatti, e quello che mi strozza la gente e poi ci sta male. e su, manco a fa così però! almeno lei signor dottore lo può aiutare”, quindi non vedo cosa può andare storto.

Spoiler: un po’ tutto.

Ma la cosa che più mi sta colpendo di questa serie (al momento sono in pari, alla settima di dieci puntate, e capisco essere autoconclusiva) è il contesto in cui si sviluppa il legame dello spettatore con Alan.

Come dicevo all’inizio, il ruolo della religione ebraica è fondamentale per capire come Steve Carell ha lavorato sul suo personaggio. Carrell non è ebreo e io sono ignorante come la merda, quindi vedere uno come lui, che ci ha abituati a roba ipercomica per cui sì devi studiare ma lui c’è nato mortaccisua, calarsi nei panni di uno psicanalista ebreo per cui la sua religione ha avuto molti pesi specifici nella sua vita, è sconvolgente.

A parte che va beh, manco sapevo che almeno in una preghiera gli ebrei concludessero alcune frasi con AMEN, le parti che piano piano si fanno più interessanti sono quelle in cui alcuni aspetti del passato più o meno recente di Alan (il lutto, la famiglia, il fondamentalismo) fanno diventare il fatto che comunque sta incatentato in un sottoscala costretto a pisciare in un pappagallo mentre uno psicopatico minaccia di ammazzare il prossimo stronzo che gli fa girare il culo ecco, un fatto laterale. Per me, i momenti di costruzione di come Alan sia arrivato lì, al netto che possa esserselo in qualche modo meritato o cercato, sono fondamentali per capire se può davvero liberarsi da quella catena fisica così come di quelle mentali e del passato. E se per metà serie abbiamo provato a scansare insieme a lui la violenza che gli si parava di fronte, adesso i ricordi così come l’autoterapia da meditazione sembrano servire a prendere l’iniziativa nel presente, dopo anni di possibile passività.

Carrell fa davvero un lavorone e io, che ovviamente non ho visto nulla con lui in ruolo drammatico se non un numero indefinito di volte Little Miss Sunshine, rimango davvero affascinato da un uomo capace di farsi fare la ceretta per davvero in 40 Anni Vergine, surclassare il protagonista indiscusso Jim Carrey in Una Settimana Da Dio, riuscire a essere tutto questo e l’assoluto opposto grazie a una barba, un paio di occhiali e a una bravura fare quello a cui non siamo abituati davvero rara.

Il colpo di genio finale è fare puntate da meno di mezz’ora, che per un drama è cosa rara, e soprattutto riuscire a condensare tanto del passato dei protagonisti senza fagocitare il loro presente.

Voto boh, che cazzo sò un arbitro. Comunque la fanno su HULU, prodotta da FX.