
A Giacomo prudevano le dita.
Dalla sera prima una serie di pensieri e concetti avevano cominciato ad affollargli una mente già piena di cose, che però erano state per giorni confuse e velate da una coltre di rabbia e stanchezza e alcool.
Invece dalla sera prima ‘sta serie di concetti e pensieri si erano messi in fila, ed avevano educatamente bussato prima di entrare, sedersi davanti a lui e spiegare il perché della loro presenza. Poi va beh, di mezzo c’era stata la notte che qualche consiglio lo aveva portato (tipo quello di scaricarsi sì le dita, ma magari farlo per cazzi suoi) ma lui non lo sapeva e scriveva lo stesso.
Era a casa nuova da una settimana, e da una settimana la osservava e gli piaceva sempre di più. Pensava che per la seconda volta in cinque anni, non voleva uscire di casa per andare a lavorare.
La prima era stata quando Lei era appena arrivata e averla intorno era la cosa più bella del mondo. Sapere di poterla lasciare in salotto per andare in bagno, e trovarla lì una volta tornato, era una gioia immensa dopo otto mesi di lontananza.
Adesso era solo, in una casa diversa, in un altro quartiere e con altri quattro anni di vita alle spalle da quella prima volta. Da una settimana combatteva coi demoni della burocrazia, tra cambi di intestatario e contratti di casa da rincorrere per Lisbona per essere firmati. Però si stava anche prendendo il suo tempo per guardarne gli angoli, aggiungere una cosa, spostarne un’altra, buttare un botto di roba. Aveva tirato fuori foto, taccuini, cartoline, poster e aveva pensato che per la prima volta da quando aveva la sua stanza a casa coi suoi, poteva non rinunciare a nulla. Avrebbe potuto attaccare tutte le foto, tutti i taccuini, tutte le cartoline, tutti i poster che voleva. Poteva farlo col gusto suo, pensando a quando una ragazza o gli amici sarebbero entrati. E allo stesso tempo era talmente poco che si era trasferito che ogni angolo disordinato e ogni grumo di polvere poteva ancora essere giustificato.
Si era seduto e aveva cominciato a guardare fuori dalla finestra, nel suo angolo che nella sua testa chiamava “l’angolo del bohémien” o “l’angolo dello stronzo”, a fasi alterne. Aveva sistemato la scrivania sotto la finestra della sala, sapendo che era solo provvisoria fino a che non avrebbe avuto le zampe per il tavolone. Ma se pur per poco voleva fosse accogliente e quindi ci aveva messo un vaso di fiori secchi e una candela lasciati dall’inquilina precedente, il computer, le casse, una serie di fogli bianchi, una penna e un piccolo angolo dedicato al fumo con posacenere, accendino e una cimetta che non si sa mai.
La finestra era alla fine della discesa che al contrario, detto anche in salita, portava a Rua da Graça. Era esattamente al centro della via, che in cima finiva curvando leggermente a destra finendo dietro un palazzo. Le macchine apparivano dal nulla, scendevano giù e nel nulla sparivano, nascoste sotto i vetri, lasciando un alone di mistero su dove finissero anche se Giacomo sapeva che dovevano per forza girare alla loro destra, che nell’altro senso era contromano. Almeno un dubbio nella sua vita aveva già la risposta pronta.
Il fatto era che di dubbi lui se n’era sempre fatti un sacco, solo che adesso era in una fase della sua vita in cui si sentiva più sicuro di sé e di quello che stava facendo. E come sempre, la gente intorno lo vedeva e subito provava a tirarlo giù. Ecco il più importante tra i pensieri e concetti che avevano bussato in quelle ultime ore. Dopo aver parlato con se stesso con calma per la prima volta in giorni, Giacomo si accorgeva di questa coincidenza solo ora. Perché nonostante l’incazzatura, la rabbia, la delusione, Giacomo era ancora così buono da pensare che la gente non lo facesse apposta, a rompergli il cazzo nel momento in cui due cose in croce andavano per il verso giusto grazie al suo impegno e alla sua dedizione. Cioè, non lo faceva apposta, laggente, però ci leggeva quella sorta d’invidia, quasi di paura pensando che se lui avesse preso coscienza e sicurezza di sé, non ci sarebbe stato più un cazzo per nessuno. A 38 anni capiva che era anche fatto delle sue insicurezze, del suo non dire mai di no, del suo essere accondiscendente su ogni opinione medio-blanda sulla vita, e che non era stato solo lui a farci i conti ma anche le persone intorno, costruendosi un’idea e un’immagine di Giacomo che ultimamente cozzavano con la costanza e la durezza con cui si confrontava in alcune situazioni.
Che poi laggente non erano quelli per strada o il banchista del McDonald’s, ma spesso le persone più vicine a lui, quelle che negli ultimi anni i cambiamenti li avevano visti e li avevano apprezzati fino a quando non gli era tornato più nulla di utile, fino a quando lo spazio di manovra per cambiarlo era chiaramente finito, fino a quelle settimane in cui avevano visto calma nei suoi occhi, e ci si erano trovati a specchiarsi vedendo la loro immagine spaventata.
Giacomo si sentiva pure un poco mitomane, a pensare queste cose.
Ma quell’enorme concetto aveva addosso il vestito buono, la barba appena fatta e un’attenzione particolare alle parole e ai dettagli. Aveva spiegato a Giacomo che era lì per rimanere, per essere davvero un’aggiunta alla sua vita. Alla domanda di Giacomo su dove si vedeva da lì a 5 anni, il concetto rispose “bene con me stesso”.
Giacomo aveva sorriso, si era alzato seguito dal concetto con cui si strinse la mano sopra la scrivania coi fiori secchi e l’angolo del fumo, e gli disse “benvenuto tra di me”.