Dovrei fare due premesse, prima di scrivere di Giacomo Bevilacqua e del suo «Il Suono del Mondo a Memoria» (che per me, tra l’altro, è uno dei titoli più belli che si possa dare ad un libro/film/album).
Ma visto che io, quando parlo di qualcosa che penso non mi competa, faccio sempre premesse per mettere le mani avanti, a questo giro le metto alla fine.
Delle postmesse.
Potete decidere se continuare ignorandole fino all’ultimo, o se scendere prima giù in fondo e leggerle, per poi iniziare il pezzo.
Ricordatevi solo di tornare qui su, che sennò lo leggete al contrario e non ci capite niente.
Ma dicevamo.

Ho ordinato la variant (numero 1230) non appena il sito di Feltrinelli me lo ha permesso.
Ed ho aspettato con tanta ansia. Che è aumentata, perché c’ho una fortuna con le spedizioni io che il giorno che devono mandarmi il bancomat nuovo, il tempo che mi arriva e lo avremo già tutti impiantato sotto pelle da mesi.
Finalmente ieri l’omino rosso di Bartolini è arrivato ed io ero molto contento.
Ho aperto il cartone e mi è arrivata la zaffata buona di carta fresca, ed ero molto contento.
Poi ho aspettato che finisse il mio turno in ufficio, mi sono precipitato in metro e dopo essermi piazzato in fondo, in piedi, spalle alla coda del vagone, e ho aperto «Il Suono del Mondo a Memoria», opera (grossa) prima di Giacomo Bevilacqua che tutti conosciamo per quel frugoletto tutto matto di Panda a cui piacciono un sacco di cose.
Ma Giacomo è stato tanto altro e con questo libro è diventato tantissimo altro ancora.
La storia (senza spoiler) è quella di Sam, un ragazzo che vola a New York per riprendersi dopo una storia finita male. È fotografo, lavora per una rivista fondata con un amico anni prima e che ora ha un ottimo seguito.
Sam decide di unire il viaggio personale a quello lavorativo, documentando la sua vita di tutti i giorni usando la reflex e seguendo una regola generale che diventa presto una sfida: non parlare mai con nessuno, per tutto il tempo della sua permanenza nella Grande Mela.
Una sfida enorme con se stesso, che Sam affronta non senza qualche problema fino a.
Già. Fino a.

Perché non è semplice parlare di questo libro senza rivelare troppo. Come lo stesso Giacomo ha detto in più interviste, va sicuramente letto due volte, se non tre e così via.
Vuoi perché è davvero una bella opera, ed anche perché l’autore ci ha infilato dentro tante chicche ed un finale a sorprese -sì, plurale- che vi farà sicuramente dire «ooooook! ora lo ricomincio subito».
Conoscendo già parecchie cose fatte da Giacomo, questa mi ha sorpreso particolarmente per la cura nella scrittura e nei disegni.
I testi non sono mai banali e la storia è tutto tranne che scontata, un graduale salire di atto in atto fino alle pagine finali che ti danno un paio di cazzottoni ben assestati. È una storia d’amore ma anche di lotta con(tro) se stessi, di impegno e di difetti, di migliorarsi e riuscire, almeno per un momento, a sentire il suono del mondo.
I disegni sono qualcosa di magico, davvero. Io, che a NYC non ci son mai stato, me la immagino proprio così, d’inverno. I colori e la luce che ha riportato su carta sono il risultato di un’attenzione al dettaglio quasi maniacale: molte tavole offrono scorci più o meno conosciuti grazie alle miriadi di immagini che abbiamo sempre visto di New York, ma Giacomo riesce a distinguersi da qualunque altro tipo di media su cui le abbiamo viste. L’arancione delle foglie ed il sole che ne accentua la luminosità, il blu ed il grigio del cielo dietro ai palazzi, il rosso dei momenti più intensi del protagonista.

Quello che mi ha colpito di più, però, è il fatto che leggerlo mi ha fatto fare cose che di solito non faccio, quando sfoglio un testo.
Tipo:
– farmi mancare il panorama sul ponte dove passa la metro, tra Flaminio e Lepanto. Vi assicuro che ogni giorno, che io sia sul cellulare a perdere tempo o a leggere un libro, io alzo lo sguardo e mi godo uno dei due lati. Ieri niente, talmente immerso nel libro di Giacomo che ho addirittura mancato la mia fermata, ed ho deciso di proseguire fino alla coincidenza successiva;
– farmi dire «MA NO DAI!» di sorpresa e stupore in più di un momento, facendomi passare per scemo davanti a tutti i passeggeri;
– farmi dire «NO!» quando pensavo fosse finito e invece mancavano altre pagine per poi farmi dire di nuovo «NO!» quando è finito sul serio.
Per chiudere, io vi consiglio di prenderlo senza nemmeno pensarci. Perché è un’opera universale, che si farà amare da tutti quelli che sanno leggere una bella storia. Perché ok, la storia la scrive lo scrittore, ma le sfumature le coglie chi legge.
E Giacomo Bevilacqua è stato bravo, bravissimo ad aprire e chiudere una storia intelligente con una mano, ed una testa, che è difficile trovare in giro e che riesce a carezzare ogni tipo di carattere e di gusto, spiccando per sensibilità e leggerezza.
Postmessa #1
Non sono bravo, io, a scrivere recensioni. Però ci sono cose che mi piacciono così tanto che non posso tenere per me, ché vanno condivise con più gente possibile. E questo è il mio unico mezzo per dimostrarvi, e ricordarmi, che al mondo di cose belle ce ne sono un sacco.
Postmessa #2
Io a Giacomo lo conosco da un sacco. Ma non della serie che ci sentiamo tutti i giorni (tant’è che ieri, per congratularmi con lui, mi son fatto ridare il numero da un amico in comune). Però m’è rimasto dentro fin dalla prima, perché mi ha fatto conoscere i Griffin e perché mi ha fatto conoscere un modo di far ridere che ignoravo. Ho capito che c’è differenza, insomma, tra un buffone di corte ed un comico intelligente.
Lui è il primo.
(però vi assicuro che se anche non lo conoscessi, dopo questa bellezza vorrei conoscerlo, ecco)